Maurice Ravel: Bolero

Storia del brano

Nel 1927 la celebre ballerina Ida Rubinstein, futura interprete di La Valse, poema coreografico rappresentato all'Opéra di Parigi il 23 maggio 1929, chiese a Ravel di comporre per lei un balletto di ambiente spagnolo. In quel momento il musicista attraversava un periodo particolarmente ricco di impegni, culminante in una lunga tournée concertistica, iniziata sul finire dell'anno, nelle principali città del Nord America e del Canada. Rientrato in Francia nei primi di maggio, non aveva ancora iniziato a scrivere la musica del balletto che avrebbe dovuto consegnare alla Rubinstein - ballerina di medio valore ma attrice di grandi meriti, nonché donna di straordinario fascino - per la fine dell'estate. Il tempo per comporre un'opera nuova scarseggiava, per cui Ravel si accinse, in un primo momento, a strumentare alcune pagine pianistiche da Iberia di Albeniz. Appreso però, qualche settimana dopo, che i diritti per la trasformazione in balletto del brano erano già stati venduti dagli eredi di Albeniz, morto nel 1909, decise di orchestrare una musica sua piuttosto che quella di un altro. Scelse così un bolero, attratto dall'ossessività ritmica e dalla semplicità melodica di questa nota danza spagnola che, nata nel '700, si era rapidamente diffusa in Europa, destando l'interesse, fra gli altri, di Beethoven, Weber, Chopin, Berlioz, Auber e Verdi. La danza e la Spagna, quindi, dopo la Rhapsodie Espagnole (1907), L'Heure Espagnole (1911) e Alborada del Gracioso (1923), si ritrovavano ancora una volta insieme in Ravel, a testimonianza di un ininterrotto interesse del compositore nei confronti del folclore musicale iberico.

Il Bolero andò in scena all'Opéra di Parigi il 22 novembre 1928, con Walter Straram sul podio e coreografie di Bronislava Nijinska, ottenendo, fin dalla sua prima rappresentazione, un clamoroso successo in virtù della sconcertante e provocatoria originalità sia della musica sia dell'invenzione coreografica: una donna danza su un tavolo, attorniata da un gruppo di uomini che gradualmente le si avvicinano in una sorta di ballo rituale carico di spiccato erotismo (successivamente se ne sono avute altre letture, anche molto diverse fra loro: si citano quella di Maurice Béjart, che attribuì la parte principale ad un danzatore, e quella "metafisica" di Aurél Milloss, nella quale un demone s'impossessa di un gruppo di avventori presenti in una sordida taverna). Il brano, quindi, fu eseguito sotto la direzione dell'autore ai Concerts Lamoureux (una delle più prestigiose istituzioni concertistiche parigine) l'11 gennaio 1930 senza perdere nulla del suo fascino misterioso, imponendosi immediatamente come una delle pagine più fortunate della letteratura orchestrale del XX secolo.

Secondo la descrizione che lo stesso Ravel dà del pezzo nello Schizzo Autobiografico, il Bolero "è una danza di movimento molto moderato e costantemente uniforme, tanto per la melodia e l'armonia che per il ritmo. Il solo elemento di diversificazione è costituito dal crescendo dell'orchestra". Più ancora che per tutti gli altri brani musicali, è nell'idea in sé - per certi aspetti assurda e provocatoria - che risiede l'intero valore artistico del Bolero; idea tanto semplice quanto impossibile da trasformare in musica se non fosse stato per il genio timbrico di Ravel, l'unico in grado di porsi e di vincere una tale sfida con se stesso.

Un unico tema suddiviso in due frasi distinte di 16 battute ciascuna - l'una in DO maggiore, l'altra nel più morbido DO minore - ed un unico ritmo di bolero in tempo assai moderato sono i soli elementi sui quali l'autore costruisce la sua celebre danza, la cui allucinante fissità è ribadita sul piano armonico dalla mancanza pressoché totale di modulazioni (i bassi si limitano a due sole note, DO e SOL, gradi principali della scala di DO). La partitura prende via via vita, definendosi nel contempo nella sua stessa forma musicale, nel lento ma graduale crescendo dinamico e nel costante arricchimento della "tavolozza" orchestrale che si distribuisce ora sul motivo conduttore - ripetuto 18 volte - ora sugli assetti ritmici. Il tema, presentato in pianissimo dal flauto solo sull'accompagnamento del tamburo, viene ripreso prima da singoli strumenti (clarinetto, fagotto, clarinetto piccolo e corno inglese) poi da gruppi strumentali dagli impasti timbrici sempre più complessi e raffinati, fino a coinvolgere l'intera compagine orchestrale. Una sferzante ed inaspettata modulazione alla tonalità di MI maggiore (assai lontana a quella di DO) segna il culmine della tensione emotiva determinata dall'inesorabile e meccanica amplificazione della materia sonora. L'escursione armonica è però di breve durata: il DO maggiore iniziale riappare dopo solo otto battute, in un roboante finale segnato dagli orgiastici glissandi dei tromboni.

Uno degli aspetti che maggiormente colpisce del Bolero di Ravel, ed ancora stupisce a quasi ottant'anni dalla sua prima rappresentazione, è la forza del coinvolgimento emotivo - quasi fisicamente tangibile - che esso suscita nello spettatore, contrapposto all'estrema semplicità dei mezzi musicali impiegati. Ma è proprio nella deliberata "nudità" di quegli elementi e nel calcolato rigore, concepito quasi in termini matematici, con cui essi sono relazionati tra loro che si origina quella forza; la quale, a sua volta, trasforma quei mezzi musicali in ben calibrati ingranaggi di un fascinoso meccanismo incantatorio, in cui il caleidoscopico gioco dei timbri strumentali non fa altro che accrescerne la seduzione.

Ravel, il Bolero e Toscanini

Ravel auspicava che il Bolero fosse eseguito con un ritmo piuttosto lento che accrescesse l'allucinazione ritmica della pagina; Toscanini, al contrario, amava dirigerlo con un andamento più rapido. Durante un concerto tenuto il 4 maggio 1930 all'Opéra di Parigi, scoppiò un piccolo incidente tra i due artisti: Ravel non volle salire sul proscenio dopo l'esecuzione dell'opera in polemica con la scelta di tempo adottata dal maestro parmense. Si propone, al riguardo, la lettura di due brevi testi: il primo è uno stralcio da una severa intervista rilasciata dal compositore nel marzo del 1931; il secondo è una lettera, dai toni decisamente più concilianti e cortesi, spedita dallo stesso Ravel a Toscanini a quattro mesi di distanza dall'episodio.

... Devo dire che raramente il Bolero viene diretto come io penso che dovrebbe esserlo. Mengelberg accelera e rallenta in modo eccessivo. Toscanini lo dirige due volte più veloce del dovuto e allarga il movimento alla fine, cosa che non è indicata in nessuna parte. No: il Bolero deve essere eseguito con un unico tempo dall'inizio alla fine, nello stile lamentoso e monotono delle melodie arabo-spagnole. Quando ho fatto notare a Toscanini che si prendeva troppe libertà, ha risposto: "Se non lo suono a modo mio, sarà senza effetto". I virtuosi sono incorreggibili, sprofondati nelle loro chimere come se i compositori non esistessero...

Caro amico, ho saputo recentemente che c'è stato un "caso" Toscanini-Ravel. Certamente lo ignorava anche Lei, sebbene mi abbiano detto che i giornali ne hanno parlato: sembra che quando hanno applaudito all'Opéra io non abbia voluto alzarmi per punirLa di non aver adottato il tempo giusto nel Bolero.
Ho sempre pensato che se l'autore non partecipa all'esecuzione della sua opera deve sottrarsi alle ovazioni, che d'altronde dovrebbero essere rivolte soltanto all'interprete o all'opera, oppure a tutti e due. Disgraziatamente io ero male - o meglio troppo bene - sistemato perché la mia astensione potesse passare inosservata; eppure, non volendo che il mio atteggiamento lasciasse adito a equivoci, ho fatto mostra, volgendomi verso di Lei, di applaudirLa e ringraziarLa. Ma la malevolenza - non è vero? - si presta alle notizie "sensazionali" meglio della verità...


Traduzione dell'articolo "Boléro Unravelled"

di Simon Wills

Articolo originale sul sito della British Trombone Society

Il titolo dell'articolo gioca sul significato in inglese di "ravel", che significa "groviglio" oppure "nodo". Ne esce qualcosa di simile a "Il Boléro sbrogliato".

No, non è un errore di scrittura, ma un assaggio di cosa sarebbe stato se un compositore non avesse avuto un amico trombonista. Sorprende il fatto che questo solo, acuto e isolato, appaia nella musica di Ravel, specie considerando che i francesi non hanno preso il trombone contralto (o anche il basso) se non recentemente. I compositori erano conservativi allo stesso modo; in Franck, Saint-Saëns o Debussy c'è poco più di quello che Berlioz sognava per lo strumento. Dopo il cambio di secolo, quando il Ragtime divenne popolare, la stranezza del glissato appare nella musica seria (come alla fine di Ibéria di Debussy). Ma l'innovazione finisce qui.

Tutto cambiò nel 1917. Quell'anno l'America dichiarò guerra alla Germania e musicisti jazz arrivarono a Parigi con le truppe. Il loro impatto sulla vita musicale fu considerevole ed elementi di jazz cominciarono ad insinuarsi nei lavori di molti compositori che lavoravano in quel tempo - Stravinsky, Milhaud e altri. La loro scrittura per trombone, comunque, rimase per la maggior parte nel registro medio (sebbene Stravinskij abbia aggiunto gli infernali glissati acuti nell'Uccello di fuoco del 1919).

Sicuramente Ravel ascoltò un po' di jazz in questi anni ma non lo analizzò seriamente fino a quando nel 1924 non fece conoscenza con un giovane trombonista, Léo Vauchant (nome d'arte di Léon Arnaud). Si incontrarono regolarmente per quattro anni, discutendo insieme sui dettagli del jazz. Vauchant era famoso per il suo registro acuto: Ravel osservò che il più delle volte Vauchant suonava un'ottava sopra a chiunque altro, nonostante suonasse un trombone a canneggio grande e gli chiese il perché. La risposta fu semplicemente "perché sono più ambizioso". (Lo strumento francese più comune a quel tempo era il 1860 della Courtois, che aveva un canneggio di 0,44 pollici; in America uno 0,54 pollici era già comune. Presumibilmente Vauchant aveva ottenuto il suo strumento da un americano in visita). Gli incontri cominciarono mentre Ravel lavorava, sotto grandi pressioni, al completamento della sua opera L'Enfant et les Sortilèges ed è questa opera che contiene il suo primo solo acuto, nella Dance of the Wedgwood Teapot (Danza della teiera di ceramica). Il giovane Vauchant deve aver fatto buona impressione!

I due uomini rimasero amici fino al 1928, quando Vauchant emigrò in America. Proprio prima di andarsene, Ravel gli mostrò un nuovo pezzo che s'intitolava provvisoriamente Boléro. Il trombonista osservò il lungo assolo e affermò subito che era troppo acuto, suggerendo al compositore di trasportare l'intero pezzo un tono sotto. Insomma, Boléro era originariamente in RE, non in DO! Fortunatamente per generazioni di primi tromboni sudati e nervosi, Ravel si sentì in dovere di ascoltarlo. Successivamente Léo Vauchant raggiunse una considerevole fama di arrangiatore di musica da film ad Hollywood. Anni dopo i suoi incontri con Ravel, si lamentò dell'approccio pomposo che i musicisti classici avevano verso il solo del Boléro. Ravel aveva omesso di scrivere tutte le inflessioni che un suonatore di jazz avrebbe messo nella sua melodia e, in seguito ai suggerimenti di Vauchant, alla fine l'ha lasciato praticamente senza alcun segno d'espressione, scrivendo semplicemente sostenuto. "Dopo tutto, i trombonisti sapranno ciò che devono fare." Ahimè, in molte orchestre non lo fanno, oppure sono inibiti dal fatto che stanno suonando un assolo così famoso ed importante. La maggior parte della gente conosce bene la versione un po' noiosa che di solito si sente. Forse ci troveremmo più a nostro agio suonandola tenendo ben presente che poteva essere molto più difficile - un intero tono più difficile!


Lezione sul passo d'orchestra sul sito del Online Trombone Journal

Lezione sul passo d'orchestra sul sito di Milt Stevens

Informazioni sul Bolero sul sito di Ronald Barron


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