MADRIGALI
DI
GIOVANNI BATTISTA
LEONI
ALL’ILLUSTRISSIMO
SIGNORE
dalla
Rovere, etc.
Perché alcuni di
questi Madrigali, che poco accortamente questi mesi addietro io
mi sono lasciati uscir di mano, se ne vanno attorno acquistando
qualche deformità alle loro naturali imperfezioni, ho convenuto
però quasi astretto da paterna carità, accompagnandoli con
alcuni loro fratelli, lasciarli più legittimamente andar
attestando al Mondo, che s’io non son buon Poeta, son ben
uomo fragile come gli altri. E questa pubblicazione ho voluto
arditamente onorarla e onestarla col nome di vostra Signoria
Illustrissima, alla quale dedicando io questi miei oziosi e
incontinenti parti, vengo senza dubbio a preservarli da quelle
note che altrimente riceveriano per se soli. Perché non sarà
alcuno che vedendoli raccomandati, e per avventura graditi da
vostra Signoria Illustrissima per abito e per professione
costituita in superiorità Ecclesiastica e per natura
risplendente d’eroica e Serenissima Nobiltà, non solo non
li accusi, ma non li stimi molto in grazia di lei. La supplico
per tanto ad ammettermi benignamente la prosunzione di questo
artificio, e ricever volentieri nel dono l’obbligata e
antica reverenza del donatore. Il quale con perpetua devozione
verso la persona di vostra Signoria Illustrissima e della
Serenissima casa sua, sì come ardisce di procurar lode agli
errori suoi col nome di lei, così desidera di onorar ancora la
sua vita col servirla; e reverentemente le bacio le mani.
Di Vostra
Signoria Illustrissima
Umilissimo Servitore
Giovanni
Battista Leoni.
1
Quella cieca d’Amor fiamma vorace
Che m’arse il core e traviò la mente,
Ecco che non ancora estinta giace,
Anzi nel gelo altrui fassi più ardente;
E da contrari affetti
Agitata sovente
Del mio folle sperar rende maggiori
E più dolci gli ardori.
Muse, voi che i pensier, l’opere, i
detti
Reggeste un tempo, e gli amorosi errori,
Se guidaste l’ardire
Pubblicate il pentire;
Poiché di questo mio vano disio
La colpa è vostra et il pentirsi è mio.
2
Qua giù quanto mirate
Voi tanto innamorate.
Né può de’ sguardi vostri
Fuggirsi ormai la cara violenza;
Son Cieli gli occhi, Amor
l’intelligenza.
Anzi né voi potete
Non ispirar amor ne’ petti nostri;
Poiché per noi bear solo vivete,
E l’anima del Mondo al Mondo sete.
3
Dal bel che in voi si vede,
Il bel del Ciel si riconosce e crede;
Anzi quel ben si gode e si comprende,
Che qua giù non s’intende.
Mentre raggio divino
Sì vivamente in voi riluce e splende,
Che d’amor improvviso e pellegrino
Lieto il Mondo si accende.
Onde altri vive in voi e voi vivete
Per altri ravvivar, e così sete
De l’eterna bontà splendor fecondo
Simulacro del Ciel, vita del Mondo.
4
Già fur quegli occhi, e quell’altero
viso
De la Tragedia mia scena amorosa,
Or sono il mio terreno Paradiso,
Dove contempla e posa
L’anima innamorata:
Tragedia fortunata,
Anzi felice sacrificio, ond’io
Nel proprio foco, sacerdote Amore,
Vittima fui del bello Idolo mio.
O mi’ alma, o mio core
Lieti languite pure
Sperando alte venture,
Poiché d’alma beltà le grazie tante
Ne le Tragedie altrui mi fanno amante.
5
Volgi i passi e i pensier, timido amante,
Sicuro pur dove ti chiama o inclina
La virtù non errante
Del tuo terreno Ciel; che non s’adora
Senza il consenso suo cosa divina.
Segreta violenza t’innamora,
Non bassa elezion de la tua mente;
Così non opri tu, rapito vai
Ad incontrar sovente
L’aura vital de gli amorosi rai.
Così propizie al viver tuo son quelle
Adorate da te lucenti stelle.
6
Scherzi de occhi, di labbra e di lingua.
Tempra nel foco de’ begli occhi Amore
I suoi strali oggidì Fabbro et Arciero;
Et a i rubini ardenti,
Dove adduce talor nettareo umore
Cara nube vezzosa e pellegrina,
Gli arruota poi; quindi deluso il fiero
Tiranno al cor mentita gioia arreca
In vece di tormenti;
Et mentre l’ira cieca
Superbo rinvigora e l’armi affina,
Raddoppiando così colpi mortali,
Son le ferite sue piaghe vitali.
7
Ahi del nostro sperar fede tradita,
Ahi de l’alma Natura
Custodia cieca, inutile e mentita.
Come potrassi ormai l’umana cura
Più confidare in lei,
S’ella cede le pompe e gli onor suoi
A sacrilega febbre per trofei.
Vittoria ingiuriosa, ardir profano;
Osi ben, ma non puoi
Oltre condurre a l’usurpato segno
Del mio bel sol l’egro trionfo indegno.
Vinto langu’egli sì, ma però in vano
Maligna eclisse il santo lume offende,
Che malgrado di lei anco risplende;
E può al mio cor co’ languidetti raggi
Compartir grazie e vendicar gli oltraggi.
8
Giorno infausto e mendace
D’onor, di luce privo;
Questo lume fallace
Col quale il Mondo inutilmente desti,
Ecco che semivivo
Spiega senza il mio Sole i raggi infesti.
O giorno no, ma torbida infelice
Notte cieca et amara.
Miro ben io, ma nel mirar m’avveggio,
(Misero) o ch’io non vivo o ch’io
non veggio.
O fida, o beatrice
Scorta dell’alma mia beata e cara,
Deh vieni, e rendi ormai col tuo ritorno
La vita a me, l’intiera luce al giorno.
9
Occhi miei non vedete,
E però voi piangete?
Violenza non è questa, o rigore,
Ma giustizia d’Amore:
Perché se voi peccaste
Voi per voi stessi ancora soddisfate;
Se già sguardi rubaste,
Or lagrime pagate;
E se ’l furto vi fu già grato tanto
Or rendetelo pur converso in pianto.
10
Occhi, si nega al core
L’usato cibo, et ora
Piangendo racquistar credete poi
La vita a me, l’amata luce a voi?
Se ’l nostro Sol che l’altro Sol
onora
Occulto stassi, in van vi raggirate,
In vano lagrimate;
Se non che ben potete
Afflitti come sete
Giovarmi ancor, versando pronti fuora
Crudel ministri di servizio pio
Con le lagrime vostre il viver mio.
11
Questo cinabro ardente,
Ch’in real volto fiammeggiando avvampa
D’amoroso splendor la Terra e ’l
Cielo,
È di colpa mortal segno innocente.
Questi vestigi erranti,
Che fiamma occulta rosseggiando stampa
Nel bel rigor dell’ animato gelo,
Son di casta pietate indizi amanti.
Or che farassi Amor? ferito inanti
Al feritor convinto avrò a perire?
Crudel poi che consenti
Nol nego, io vo’ morire.
Ma queste labbia almen sian gli stromenti,
Perché sia foco o ghiaccio quel ch’io
veggio,
Baciar quivi e morir altro non chieggio.
12
Questo rossor ch’io veggio
Lampeggiar improvviso
(Ben mio) nel vostro viso
È de l’incendio del mio core istesso
Un leggiadro reflesso.
E sì come oggi il Mondo e la Natura
Vede e consiglia in voi
Quasi in vivente specchio i pregi suoi
In voi così procura
Che la sua fiamma Amore
Visibilmente ancor s’ami, e
s’adore.
13
Cibo de l’alma è ben la cara luce,
Ma del misero cor esca e veleno,
Perché qualora Amor mi riconduce
Ad adorar il mio bel Sol terreno,
Quasi in cavo cristallo, occhi dolenti,
Stringonsi i raggi ardenti;
E accendon poscia l’amoroso ardore
Ne l’opposito core,
Che sol si nutre e pasce,
Tormentata Fenice,
De la fiamma che in lui cresce e rinasce.
Così nel mio penar vivo felice,
E dolcemente poi
L’alma gode, arde il cor, piangete voi.
14
O Sonno, o della Morte
Misteriosa e desiata imago,
De la Notte e de l’Ozio amato figlio;
Forse de la mia sorte
Nunzio lieto e presago
M’apri coi sogni tuoi qualche consiglio?
O de l’alma innocente
Errori gloriosi,
Oracoli amorosi,
Dove sempre è ingannata e non si pente
L’innamorata mente.
Se l’alternar del placido riposo
M’è al fin grave e noioso,
E che ne la sembianza del morire
Sol mi avvenga gioire,
Ormai del mio servir, de la mia fede
Sia l’eterno dormir sola mercede.
15
Io pur veggo infelice ch’altri chiede
Et impetra mercede;
Né perché umil e supplice io mi stia
Mendico amante, a quest’afflitta vita
Chiedendo alcuna aita,
Egli avviene però (spietato Amore)
Che pietà si aggia a la miseria mia.
O di Tantalo assai pena maggiore:
Ne l’avaro abbondar quella rinasce,
Ma il fuggitivo cibo altri non pasce;
Non son mendico io sol che langue e prega,
Pur dassi ad altri, e a me si mostra e nega.
16
La bella man che la mia vita regge,
Meraviglie d’Amore,
Nuda dona et inerme i petti impiaga;
Anzi in un tempo stesso
Quel che a l’un è mercede a
l’altro è piaga.
O mio trafitto core,
Tal folgore omicida
Fra nutritiva pioggia il Ciel disserra;
Et avvien ch’altri ancida
Nel fecondar la terra.
Ma poi che pur di viver m’è concesso
Del ben altrui piagato spettatore,
Misero amante, goderò che sia
La man crudele a me, che ad altri è pia.
17
O neghittoso et importuno figlio
Di mentita prudenza; o del periglio
Infausto messaggiero;
Indegno Consigliero
De l’onor et d’Amore,
Infelice Timore!
Quanto fora miglior de la licenza
Dolersi, oimè, che de la negligenza!
Io piango il danno certo
Del tuo consiglio incerto;
Piango quella innocenza
Ch’esser doveva un generoso errore.
Ma se ’l giusto dolore
Non potrà di pietate acquistar merto,
Avrò mal grado tuo pur tanto ardire,
Che al fin potrò morire.
18
Ecco languirvi inante
Il fulminato cor piagato et arso
Da la stessa pietate
Del vostro clementissimo sembiante.
Dolcemente mirate,
Dolcemente ridete,
E così dolcemente m’uccidete.
Pur non posso né viver, né morire;
Perché mi risanate col ferire,
E nel sanar porgete
A queste piaghe dolcemente acute
Omicida salute.
O benigna cagion del mio languire,
Voi Giove sete, e Cielo è il vostro viso,
Folgori gli occhi son, baleni il riso.
19
Quasi Sol che tramonte
Son d’ostro aspersi, tumidetti e gravi
Gli occhi, tua scorta, Amor, mie fide stelle
Che con placido occaso invido sonno
Tenta pur d’oscurare
De le palpebre lor ne l’Orizzonte;
Ma vacillanti, oimè, girando ponno
Con mille languidetti error soavi
Non dormir, ma ferire
Nel medesmo languire.
O quanto inferme più tanto più belle
Luci beate e care!
Ahi che ’l penar è mio, vostro è il
gioire.
Né voi patite occaso; io che mi pasco
Del vostro lume in voi moro e rinasco.
20
Ape son io, che sussurando intorno
Coi miei sospiri a i gigli et a le rose
D’una celeste eterna primavera,
Tento, ardisco e m’aggiro,
Volo, rivolo e miro
L’esca vital che Amor quivi compose;
Né basto tanto ad impetrarne un giorno,
Che possa nutrir l’alma, onde non pera.
Avara crudeltà d’empio Signore,
Negar cibo a chi more?
Lasso, e quel cibo stesso,
Amor, che m’hai promesso?
Ma s’ape io son, volgasi in questo core
L’aculeo; e sangue traggasi e non mèle,
Et in me sia pietà l’esser crudele.
21
Fragil vetro, vil cera, arido legno,
Ingiustizia d’Amor, dunque fia degno
Di posseder intera
Del caro Idolo mio l’effigie vera?
O privilegio indegno;
Dunque fia quest’onore
D’altri che del mio core?
Sciocco e breve diletto
Di portentosa voglia.
Ah non fia vero mai (ben mio) ch’io
voglia
Scolpirti altrove più, che in questo petto;
Né ch’io procuri (oimè) vederti tanto
Sorda et inesorabile al mio pianto.
22
Sì come rappresenti
A quest’occhi dolenti,
Fiume pietoso, l’infelice imago,
Forse, perch’io mi penti
Di penar et d’amare;
Ahi che pietà maggiore
Fora in questo tuo sen liquido, e vago
Di conservarla sì ch’in grembo al mare
Deposta poi, fosse a chi questo core
Lacerar si compiacque
Spettacolo d’Amor in mezzo a
l’acque.
Ma, lasso, che ’l dolore
Che da questi occhi in te piove e descende
L’effigie turba, e la pietà contende.
23
In esto amoroso
Inutil pianta in derelitto campo
A se stesso vivea
In questo petto il cor negletto e inculto;
Quando Amor, che così non ne traea
Forse gli usati frutti,
D’ogn’altro ben troncogli i rami
tutti;
E novello virgulto
Con profonda ferita
Innestovvi d’altissima speranza.
O di colpo mortal piaga felice,
Se a l’innestato cor non manca aita.
Ma se sparisce il Sole, ond’egli ha
vita,
Ahi, che breve fia ’l tempo che gli
avanza;
E lo vedrem giacer su la radice
Cadavero d’Amor, tronco infelice.
24
D’insana gelosia ministro infame,
Empio rigor, potrai
Impedirmi il veder, l’amar non mai.
Veglia e t’aggira pur, Argo importuno,
Che s’io vivrò digiuno
Del mio cibo amoroso,
Tu non avrai riposo.
O di vil servitù mostro fedele,
Dubitando del canto
Ti preservi dal sonno col mio pianto?
Ahi d’iniqua pietà zelo crudele:
Serba e nascondi pur, custode ingrato,
Il mio tesor, ch’io pur vivo, amo e
spero;
Ma tu vivi, odi, e temi, e vai beato
De le ricchezze altrui mendico altero.
25
In te mio nuovo Sole
Io provo et assicuro Aquila amante
Del mio fermo disio l’incerta prole.
De’ tuoi raggi amorosi al corso errante
Lion son io, segno felice e noto.
Così la forza e ’l volo
Che da te viemmi solo
A te consacro ancor pronto e devoto;
Et Aquila e Lion al tuo bel lume
Bramo infiammarsi il cor, arder le piume.
26
Di questi cari baci
Furti e rapine audaci
O fautrici d’Amor tenebre pie,
La gloria è vostra, e le dolcezze mie.
Sorgi fastosa pur, invida luce,
E ’l Mondo indora e ’l Ciel
rischiara e sgombra;
Che se benigna l’ombra
A la felicità m’è scorta e duce,
E permette il goderne,
Sian pur i giorni miei tenebre eterne.
Ch’io vivrò cieco amante, e ’l
cieco suole
Tenebroso nel dì goder il Sole.
27
Ben mio, quest’obbligarmi
Per baci a render carmi
È del debito mio tanta ventura,
Ch’io mi arricco del vostro, e sto nel
patto;
E pago con vantaggio utile usura,
D’amorosa pietà dolce contratto.
Escon da questa bocca i carmi e ’l
canto,
Dove affiggete voi baci, e informate
La lingua e ’l cor de le dolcezze
vostre.
Cos’io mi onoro e vi ministro quanto
In me voi fabricate,
Ape gentil; sì come avvien che mostri
Onorato talor d’onor non sui,
Custode vil ricco tesoro altrui.
28
Questo vetro che a voi dono e consacro
È del mio cor l’effigie e ’l
simulacro.
Cener ei prima fu, reliquia oscura
D’empio foco vorace,
Poscia amica fornace
Questa vita gli die’ lucida e pura.
Già fiamma ingrata incenerì il mio core,
Ma nuovo foco poi,
Fornace il vostro viso e fabbro amore,
L’informò e ’l ravvivò coi favor
suoi.
Or s’io vivo per voi felice, e sono
Esempio d’amorosa alta ventura,
Poiché beaste il cor, gradite il dono.
29
Voi peccaste, io peccai;
Ma l’uno e l’altro errore
Impeto fu d’Amore.
La vostra negligenza
Fu giusta et amorosa confidenza;
Così lo sdegno mio,
Se fu crudele a voi, a me fu pio.
O colpe avventurose de gli amanti,
Amore le condanna, Amor le accusa;
Amor le assolve ancora e Amor le scusa.
Viviam dunque, e godianne; che fra tanti
Giri discordi anco il Ciel vive, e infonde
Mille vite qua giù dolci e feconde.
30
Se gelosa importuna
Nube mi fura il Sole,
È ben ragion ch’i’ adori
Ne l’amico silenzio de la notte,
Felice Endimion, la cara Luna.
Tra i notturni splendori
Pallidetto Pianeta
Questo benigno splende, et incorrotte
L’altre pompe del Ciel vagheggia e mira;
Quello solo e superbo il Mondo gira
E porta altero in fronte e foco e sangue,
Ma poi sotto vil nube infermo langue.
Or con tua pace, Amor, tacita e queta
Vita vivrò sicuro,
E bramo eterna notte e ’l dì non curo.
31
O ne le tue sciagure avventurosa
Felicissima rosa…
Vinta veggio languirti e cader priva
Di color e di odore
Tra belle labbra in lunsighiero onore;
E pender semiviva,
Vezzosetto trofeo, da quella bocca
Che insidiosa spira
Nettare e foco e balenando scocca
Riso micidiale, amabil ira.
O te lieta e beata,
Che pur muori baciata;
Fosse a me dato in sorte
La mia vita cangiar con la tua morte.
32
Nei questi non son del vostro viso,
Ma vestigi d’amore,
Che ritornando al Cielo
Lascia sovente impressi
In questa bella et animata neve,
Perché sia il vostro gelo
Ministro del suo ardore,
E refletta in altrui que’ raggi stessi
Ch’ei medesmo riceve.
O mie vitali e lucide fiammelle,
Chi vide ghiaccio mai sparger faville?
Ma qual avvien che in Ciel bianco scintille,
Vago concorso di minute Stelle,
Tal la vostra beltà fiammeggia a noi,
E son pompe d’Amor le macchie in voi.
33
L’animato metal cui mano industre
Ardita compartì la voce e ’l moto,
Sì che spirito ignoto
D’immobil corpo a noi mostra e rimembra
L’alto cammin che ci distingue
l’ore,
Questo vero rassembra
Il vostro viso, ove s’aggira Amore
Che con le ruote de’ vostri occhi
addita
In viva sfera d’alabastro ardente
L’ore qua giù d’una beata vita.
O del mio ben presente
Indice caro, illeso viva eterno
Così quel bel che in voi godo e discerno.
34
Dolce tormento mio, fiamma mia cara,
Ecco di nuovo il core
Esca fatale al tuo benigno ardore.
Deh riconosci in lui
Le recenti ferite
Del folgorar di que’ begli occhi tui,
E come son gradite
Piaghe vital di feritor clemente,
Così pietosa i colpi rinnovella
In lui con le dolcissime quadrella
De’ tuoi sguardi cortesi; ond’ei
sovente
Fulminato da te mora e rinasca,
E ’l foco che l’ancide egli lo
pasca.
35
Aria felice che ’l bel viso intorno
Baciando vai, ch’io riverisco e temo;
E con più chiaro giorno
Ricca di doppio Sol superba splendi,
E ripercossa da beati accenti
D’Angelica armonia col Ciel contendi;
Se forse i dolorosi miei lamenti
Turbano il tuo sereno,
Tanto comparti almeno
De le tue grazie meco,
Ch’io possa viver teco,
Che mal grado d’amor potrò poi dire,
Dopo tanto languire,
Io trovo pur pietà che mi ristaura,
Muto Camaleonte, e vivo d’aura.
36
Qual or ti veggio, ingrato Idolo mio,
Supplice io pur vorrei
Chieder mercede, e forse ch’io potrei
Quella bella impietà render pietosa.
Ma l’atterrito cor che adora e teme
La maestà del fulminante volto,
In se stesso raccolto,
Nega voce a la lingua, a gli occhi umore.
Formidabil bellezza, e dilettosa,
Che allettar sai e minacciare insieme,
Or privami di speme,
Dispietato miracolo d’Amore,
Negami quanto puoi, che al fin negato
Non mi sarà l’onor d’averti amato.
37
Caro improvviso lampo di pietate,
Che nel penoso e desperato abisso
Del mio giusto dolor oggi descendi;
E quivi l’alma amante
Abbagli tanto più, quanto più splendi;
Io ben ti adoro, e riconosco in tante
Tenebre mie quel raggio di beltate
Che m’accende e m’invita
A più beata vita;
Ma il tuo lume fugace, oimè, che seco
Porta ogni speme; onde abbagliato e cieco
Rest’io ne gli error miei confuso, e
sento
Ne la stessa pietà maggior tormento.
38
Ne le tenebre amare
D’un doloroso orrore
Vassene errando il core,
Mentre il mio Sole ineclissato appare.
E che infauste comete son le stelle
Che fur già poli a l’amorosa speme.
Così confuso e imbelle
A la disfida acerba
De gli empi lumi ardenti
Io piango, et egli teme,
Et atterriti insieme
Sconsolati fuggiamo et innocenti
De l’amata beltà l’ira superba.
Ma ’l bellissimo sdegno è tal, che
ancora
Con la stessa pietade arde e innamora.
39
Questi sguardi tremanti e fuggitivi,
Che talor verso voi timido invio,
Sono voci del cor dolenti e mute,
Con che a voi che ’l feriste
Pietà chiedo e salute;
Ma dispietato Amor, che fiero quivi
A la vostra beltà geloso assiste,
Sì gli atterrisce, ch’io
Desperando mercè le piaghe intanto
Purgo del cor con solitario pianto.
Così col desperar freno il disio
De la salute; anzi ad onta d’Amore
Godo ne le ferite il feritore.
40
Misteriose e lusinghiere vesti,
Reliquie sol d’inceneriti amanti,
Voi ben cenere sete,
Che ’l mio foco coprite e nascondete;
Ma quel freddo colore
Non estingue il suo ardore;
Che quivi anzi si nutre, e i cori erranti
Alletta et arde, mentre ognuno in vui
Vagheggia mal accorto i danni altrui.
Ah vesti insidiose, or quindi Amore,
Avvien, ch’oggi si vanti
D’aver tra voi sotto mentito zelo,
Foco per infiammar la Terra e ’l Cielo.
41
Io pur ardo, e non moro
Aggirandomi innante
Al mio lume fatal farfalla amante.
E ben cerch’io con generoso ardire
Ne l’amato splendor fine al languire;
Ma la fiamma dolcissima che m’arde
D’immortal foco sì l’anima
accende,
Che di penar non cura,
Mentr’ella mira, e tace, e sguardi fura,
E dal bel viso innamorata pende.
Amor, le tue promesse inferme e tarde
Lusinghin altri omai,
Che la mia pena certa
Nel contemplar que’ luminosi rai
Grata m’è più che la tua speme
incerta.
42
L’amorosa mia stella
Stassi benignamente,
Rivolta a l’Oriente
De la mia speme; e fiammeggiando infonde
Ne l’anima soggetta
Virtù così feconde,
Che dove in se medesima negletta
Giacea timida pria,
Or si avvalora sì, tanto s’accende
In quell’aspetto di bellezza pia,
Che d’insolito onor s’informa e
splende;
E qual cristallo al Sol, ne gli occhi altrui
Sparge d’alto splendor raggi non sui.
43
Anima sconsolata ardisci e spera,
Et ora più che mai mercede attendi.
Se tu cosa celeste
Adori e servi, a che il temerne tanto?
Non è giusto il timor se non in quanto
Col tuo vil disperar sciocca l’offendi.
Il Sole alluma queste
Cose terrene, e col medesmo lume,
Se l’occhio uman presume
Temerario affisarsi in lui, lo priva
De la virtù visiva.
Or tu godi così del tuo bel sole
Gli sguardi, le parole
E lo splendor de le sue grazie tante
Serva non vil, non importuna amante.
44
De’ due fedeli amanti,
Che la serena lor vita turbaro
Qual or sogliono il Ciel turbini erranti,
Seguì in breve di baci
Grandine così spessa,
E pioggia tal di lagrime, che in essa
Quasi si dileguaro.
Quindi frutti miglior, frutti veraci,
O fertili in amar campi vivaci,
Avrete (disse Amore
Che ridea spettatore).
Solchi, seme e rugiada siano in tanto
Le labbra, i baci e l’uno e
l’altro pianto.
Dove il
liquido argento
D’un
vago ruscelletto
Discorrendo
facea tra l’erba e i sassi
Col
garrir de gli augei dolce concento,
Mentre
Fillide mia dormendo stassi
E sicura
e contenta si riposa;
Amor lo
sai tu che vedi ogni cosa,
Un bacio
ne furai.
Ora se
allor peccai,
E che
’l furto mi faccia contumace,
Io
vorrei con tua pace
Confessarle
il delitto, e al suo bel volto
Restituire
il tolto.
46
Fascinatrice
e dispietata bocca,
Come il
morder te stessa altri ferisce
D’amorosa
magia forza inaudita,
Che un
morso in te sia nel mio cor ferita.
Deh
vezzosetta Maga,
Quel
soave furor altrove scocca;
Perdona
a le tue labbia,
E sfoga
in queste mie cotesta rabbia,
Né ti
spiaccia il sanar piaga con piaga,
Che ben
potrai con magico stupore
Ferir le
labbra, e risanarmi il core.
47
È un
non voler ch’io viva;
Perché
quel bel ch’amo et adoro in voi
Il mio
viver avviva;
E senza
i raggi suoi
Non è
vita la mia,
Sì come
senza il Sol dì non saria.
Or non
siate voi bella,
Ch’anch’io
non sarò amante.
Appar
lucida Stella
Il vetro
al Sole innante;
Tal io
ne l’amar voi m’onoro e splendo
Però
che in voi m’accendo.
Dunque o
questo mi’ amor non isdegnate,
O la
vostra beltà meco incolpate.
48
Cresce
in voi la beltate,
E in me
cresce l’amore;
Ma
quanto io v’amo più, più mi sprezzate.
Gratissimo
disprezzo
Quanto
sdegnoso più, tanto più caro.
Perché
mentr’io m’avvezzo
A le
repulse, a sofferir imparo.
E potrò,
se non certo
Premio
ritrarne, almen gioir del merto.
Questa
ingrata d’Amor nemica, e mia,
Che
dolcemente fiera
Va del
suo sdegno e del mio scorno altera;
Poiché
preci non vuol, pianto non cura,
Fuggirolla,
e dirò ch’oggi non sia
La più
bella tra noi,
Né la
più dispettosa creatura.
Così
forse avverrà ch’io non l’annoi;
E sia
diletto suo la mia sciagura.
Tu
perdonami, Amor, che col fuggire
Sol
potendo servire,
Fuggo e
servo chi m’odia e mi disprezza.
Inutil,
disdegnosa, empia bellezza.
O
superba bellezza,
A te
medesma ingrata
S’odi
d’esser amata.
Senz’amor,
che sarai?
Qual in
bosco od in piaggia,
Che se
ne cresca occulta
O che
verdeggi inculta
Negletta
da pastor pianta selvaggia.
Ciel
senza Sol e Sole senza rai
È
beltà senz’amor vile et oscura.
Or se
sdegni l’amarti, vivi ormai,
E cresci
senza onor, senza cultura
Vana
pompa del Mondo e di Natura.
PARTE
SECONDA
Ferrara,
etc.
1
In umil
maiestà tra mille Cigni
Dolcemente
canori,
Aquile
generose, alme Fenici
Godete i
vostri amori.
Umiltà
gloriosa, augusti auspici:
Quivi
l’Italia i suoi pregiati onori
Vagheggia
e mira, e a gli altri figli insegna
Come si
gode e regna.
Or
regnate e godete pur felici
Le
glorie vostre e ’l vostro santo zelo
Disciplina
del Mondo, onor del Cielo.
Era
piovoso il giorno che ’l Duca di Ferrara
concedè
la licenza delle maschere, e divenne sereno
Diviene
il giorno a pieno.
O
benigna virtù d’eccelso Duce,
O de la
nostra età possente luce,
Che
discaccia la nebbia e spegne il gelo,
E per
mascherar noi smaschera il cielo.
3
Cari
cigni d’Amore,
Che
cantando rapite altrui la vita
Con
dolcezza infinita,
Con che
crudel virtù fiere canore
Fate
d’anime incaute e pellegrine
Armoniche
rapine?
Pur col
medesmo canto
(Meraviglie
inaudite)
Tanto
donate altrui quanto rapite;
Che la
stessa armonia che l’alme fura
Il
vivere assicura;
Né si
conosce il viver se non quanto
Altri da
sé diviso
Gode il
musico vostro paradiso.
Ma di
Regi e d’Eroi nido fecondo
Tai sono
i parti tuoi, glorie del Mondo.
4
A
confessar col core
Che si
gusta in amar dolcezza amara.
O
mentito favore,
Insidiosa
cortesia d’Amore,
Riconosco
gl’inganni, e provo omai,
Amor,
come tu sai
Premere
il cor con dilettosa salma,
E i
sensi lusingar per tradir l’alma.
5
Mordete
questi fiori
Emuli de
gli onori
E de le
pompe de le vostre labbia;
O se gli
lusingate
Con
vezzosetta rabbia;
O vezzi,
o sdegno, o lusinghe odorate
Di bocca
beatrice,
Che fa
la vita altrui morte felice.
6
Giovare,
e non lo fate,
Crudelissima
donna, voi peccate.
Ecco
atra nebbia, ecco pestifer ombra,
Ch’offende
uomini, e Terra, e ’l Cielo ingombra;
E voi
state nascosa?
Ingratissimo
sole, or quando mai
Avrete
occasion più gloriosa
Di
esercitar que’ luminosi rai?
Ma voi
che sete bella quanto fiera,
Non vi
curate ormai che ’l Mondo pera.
7
Converso
in pioggia di minute perle
Da
l’infiammato Ciel del vostro viso
Scendeva
Amor con leggiadretti errori
Di
cadenti sudori;
Quando
all’insidioso et improvviso
Mistero
accorsi, e volli avido amante
Nel
liquido tesoro
Trovare
a la mia sete alcun restoro.
Quindi
vi offersi, e voi grata prendeste,
Per me
stesso arricchir, povero lino;
Ma fur
fiamme d’Amor quelle altrettante
Quante
stille coglieste:
E così
il rugiadoso e pellegrino
Foco
adorando, ahi, che mi serbo in seno
Idolatra
crudel morte e veleno.
8
Tanto so
d’esser vivo,
Quanto
di voi ragiono, penso o scrivo;
Ma non
ponno aiutarmi
Pensier,
parole o carmi,
Sì
ch’io non pera nel cospetto vostro,
E non
divenga in me cieca la mente,
Muta la
lingua, inutile l’inchiostro.
Così
vivo lontan, moro presente
Tormento
inaudito,
Et in me
sete voi fine infinito
Di
speranze, di pianto e di querele,
Spirto
omicida, anima mia crudele.
9
Stavasi
in mezzo al vostro viso Amore
Quasi in
mezzo del ciel benigna stella
Et in
vezzoso aspetto
Splendea
tra gli occhi sfavillanti e chiari,
Amorosi
del mondo luminari,
Venere
accesa e bella;
Allor
che nel mio petto
Nacque
il nuovo desio
Dolce
tiranno dell’arbitrio mio.
Così
vivo soggetto,
Né
spero unqua poter girmene sciolto
Che
l’amante poter vien dal bel volto.
10
Sguardi
minacciosi di Dama, che vide il preteso amante
scherzare
con altra Dama a lui più cara
Imperiose
luci,
Velenose
d’Amor ministre ardenti,
Voi ben
ferite gli occhi, ma nel core
Non
discende il velen del vostro ardore;
Che
sicuro e difeso
Non cura
lieto d’altra fiamma acceso
Il
folgorar de’ vostri rai presenti.
Anzi
qual’or la Luna ha per costume
Di
render su nel Ciel vittoriosa
Il Sol
cieco et infermo,
Tal
l’opposita mia fiamma amorosa
Eclissa
il vostro lume,
E mi fa
contra voi riparo e schermo,
Così in
aspetto minaccioso, oscuro
Occhi
alteri vi miro, e m’assicuro.
11
Care
amorose note
Che in
brevi fogli accolte
Fate che
l’alma nel silenzio vostro
Voci
beatrici innamorata ascolte;
Spirti
vitali di caduco inchiostro
Ben sete
voi, che chi vi legge o mira
Morto in
se stesso in voi gode e respira.
Ah che
la bella man che già vi scrisse
Anco il
mio cor trafisse,
E son
quelle dolcissime ferite
Caratteri
d’Amor, note gradite.
12
Onestate
nemica d’Amore.
Son
nemici d’Amore
Onestate
e rigore.
Sian
rigide le pietre, e siano oneste,
Sorde,
fredde, ostinate;
Perché
non ama Amor bellezze ingrate,
Né di
crudel rigor leggi modeste.
Amor è
foco, e ’l foco è vita in noi;
E però
ardenti son gli affetti suoi;
E non è
vita viva
Una vita
ad Amor ritrosa e schiva;
Perch’egli
vuol tra le sue glorie tante
Il rigor
mite e l’onestate amante.
13
Superbo
te ne vai, legno fugace,
Ladro
felice col mio bene in seno?
Crudel
come m’uccidi
Insensato
omicida in questi lidi.
Sol la
vista seguace
Vive, ma
perché in pianto mi dileguo
Resta
ella, et io ti seguo,
E ti
servo, e ti abbraccio, onda incostante
Umido
spirto amante,
Sin che
riporti tu la bella salma
E mi
rendi così la vita e l’alma.
14
Occhi
piagnete? o che piagneste almeno
Sì che
per lagrimare
Io
divenissi un mare.
Che pur
in queste braccia e in questo seno
Le belle
membra attufferiansi a pieno;
E con
avido nuoto
Facili e
confidenti
Mi
abbracciariano ignoto;
E sarian
baci, e morsi
Que’
vezzosetti sorsi:
Ah
d’impossibil ben vani argomenti.
Deh
bastivi occhi miei fiumi dolenti
Dare il
vostro tributo al Mar, che in tanto
Quel ben
che non godo io goda il mio pianto.
15
Come per
rubar voi perdo me stesso.
Ape
importuna ardita
A quei
celesti fior corro e mi appresso;
E con
industre e supplicante volo,
Se pure
un bacio involo,
Vi
lascio l’alma che ’l bel viso stima
Quel
Ciel di latte, ond’ella visse prima.
Senza
vita così rimango in vita;
E
l’amata beltà ch’erge et informa
L’amoroso
cadavero m’invita
L’alma
a cercar per la medesima orma.
Prego
però, né perché mi si nieghi
Cesso di
replicare e baci e preghi.
16
Ahi come
brevi et interrotti baci
Son de
le mie vittorie inutil palma.
O
vestigi d’Amore,
Cicatrici
del core,
Baci
velen dell’alma;
Se come
foste timidi e fugaci
Eravate
così pronti e mordaci,
Ah che
forse il mio ardor sarebbe estinto,
Né
sarei vincitor vincendo vinto.
Ond’ora
avvien che del mio ardir m’incresca,
E
’l pentimento e la memoria insieme
Sian
dell’incendio mio focile et esca,
Sì che
picchiando al cor da gli occhi spreme
Liquide
fiamme Amor di doglia e speme.
17
A queste
soavissime parole
Sol con
baci rispondo;
E se tu
dolce parli, bacio anch’io
Dolcemente,
cor mio;
E così
corrispondo
A le
dolcezze tue garrulo amante;
Che
questa bocca mia coi baci suoi
Ridice
Eco amorosa i detti tuoi.
E quindi
fatto il mio baciar facondo,
E
replicando quante
Voci
cortesi riverente ascolto,
Son baci
ante orator del tuo bel volto.
18
Voi
parlate, io vi bacio; e s’io potessi,
Vorrei
che fosser mille ogni mio bacio.
O soave
armonia baci e parole;
A
faconda beltà baci indefessi;
Concento
grazioso,
Contrappunto
amoroso,
Che ne
risulta mentre ascolto e bacio.
Ora
cortesi e sole
Labbra
parlate pur, che al vostro suono
Baci
canori ardito amante intuono,
Poscia
che così vuole
Amor,
che con dolcissima misura
Tempra i
musici baci e gli assicura.
Non sono
questi baci, non son queste
Labbra
nostre bacianti
Dolci
sembianze d’armonia celeste?
Quelle
sfere la su, quei luminari
Ne gli
oppositi lor moti contrari
Con
replicati e sempiterni baci
Esercitan
tra loro
D’amorosa
union litigi e paci.
Ora
bacianne, e sian vita e ristoro
Del
nostro Amor questi mordaci ingordi
Imitator
del Ciel baci concordi.
20
È
perché sete il mio vital tesoro
E
perché senza voi
Non è
vita tra noi.
Ecco
baciansi i Cieli e gli elementi,
E lo
strider de’ venti
Sono
baci sonanti
Da
l’aria concitati,
Che fan
l’erbe baciarsi per li prati,
E
ribaciar gli scogli i flutti amanti.
Cor mio
senza baciar però mi moro,
Che con
virtù infinita
Son vita
i baci de l’umana vita.
21
I tesori
che Amore e la Natura
Ti dier
per gloria lor, per mia ventura?
Sono
influssi celesti a me i tuoi baci,
E son di
Amor e di Natura onore,
Che lor
contendi tu custode ardita;
Poiché
le labbra, oimè, crude e tenaci
Negano a
me la vita,
L’uso
ad Amor d’amore,
E
’l suo dolce a Natura (ahi fiero errore)
Così
perfida avvien ch’oggi mi ancida
Onestate
rubella et omicida.
22
Quella
bocca ritrosa. A che più sparsi
Per le
guance, per gli occhi e per la fronte
Girsene
lenti e scarsi?
Quivi
sicuri a fronte
Vi
fermate, et audaci
Sfidate
i chiusi e dispietati baci.
E se
negan di uscire e di provarsi
Con voi
a buona guerra, pertinaci
Ritentate,
chiedete,
Minacciate,
mordete,
Né
senza pugna il vostro ardor si estingua
Vaglia
la forza, ove non può la lingua;
Ché se
pugnando rimarrete estinti
Sarete
vincitor cadendo vinti.
23
Mi
avveggio della mia folle credenza,
Che
’l timor in amar sia reverenza,
Me ne
pento e confesso
Ben
tardi che ’l timore
È una
viltà di core.
Amore
altro non è che violenza,
E come
visse già, vive anco adesso,
E
signoreggia e regna
Signor
rapace, et a rapire insegna.
Or non
sa ben amar chi non sa ardire,
E chi sa
ben amar sappia rapire;
Perché
resta l’amante non audace
Statua
fredda d’Amore, ombra seguace.
Famiglia
luminosa, occhi superni,
Del sol
seguaci eterni;
Mute
lingue di Dio, pompe del cielo,
Ditemi,
amiche stelle, ov’è il mio bene?
Io solo
in questo gelo
Notturno,
e in questa pace
Del
Mondo, mentre ognun riposa e tace,
Ardo,
piango e m’aggiro;
Oggimai
per pietate
Deh me
la rivelate.
O me
felice, ecco non odo, io miro
Risposta
in voi ch’ella di già se n’ viene;
Perch’or,
che più del solito splendete,
Dal
reflesso di lei la luce avete.
25
Prime
del Mondo occupatrici antiche,
De la
luce e del sol nemiche eterne,
Segretarie
d’Amor Tenebre amiche,
Il mio
terreno sole
A quel
del cielo infesto,
A voi
confido sole,
Perché
odiando quello amiate questo.
Né
temete di lui, che quanto vuole,
Tanto
risplende in terra e si diffonde,
E senza
occaso a noi lieto s’asconde.
Scorgetelo
pur voi cieche felici,
Che de
la vostra sorte e del mio bene
Invidi
son le stelle spettatrici
Che non
sanno oggimai discerner bene,
Se più
del giorno voi siate serene.
26
Donna de
gli amor nostri,
Perché
mi comportate
Simulato
Idolatra a i piedi vostri?
O se pur
con la lingua mi ferite,
Perché
con gli occhi poi mi risanate?
Ah
pietose ferite,
Ah di
crudel velen rimedio pio:
Occhi
non mi lasciate voi morire
Perché
la lingua ancor possa ferire?
Segno
immortal d’Amor, ecco son io
Dove
parole e sguardi
Son le
saette e i dardi,
Che
ferendomi a prova
Fan la
mia pena inuisitata e nova.
27
Ahi di
perder me stesso;
Perché
l’anima unita
Il bel
qua giù de la sua prima vita.
E restan
poi le derelitte membra
Stupide
inutilmente,
E
divengo io cadavero vivente.
Ma
perché raggio in lor ratto s’infonde,
Che di
amoroso ardor tutte le accende,
Quindi
è che ’l cor s’incende,
E che
l’incendio all’alma corrisponde,
Che per
onorar voi, ministro Amore
Vi arde
su l’ara del mio petto il core.
28
Va’
sacrilega pena
Col mio
tormento ormai
Dispersa
sì, che mai
Più non
mi offendi ingrata,
Ministra
insana di amoroso sdegno.
Se ben
mi giova, che leggiera nata
Passasti
col mio duolo al ciel repente,
U’
del tuo ardire indegno
Resto io
felice avventuroso segno;
Poi che
’l mio sol clemente
Avendo
arsa e delusa
Te con
pietosa scusa
Mi
lascia immerso e consolato in tanto
Icaro
fortunato del mio pianto.
29
Riporti
ardita mano e vezzi e baci?
O
ventura dannosa,
Clemenza
insidiosa,
Che col
perdon castiga, e con la grazia
Vie più
tormenta e strazia.
Tal
pomposo divin ricco monile
Ornamento
servile,
Et
affidan sovente
La
dolcezza il veleno,
E le
lusinghe il freno.
O
crudeltà innocente!
Mano non
ti vantar di tanto onore,
Ché chi
ti bacia mi avvelena il core.
30
Quale in
voi sia maggiore
La
bellezza o ’l sapere;
Splendete
come sole,
Come
Apollo cantate;
Fiammeggian
le parole,
Maestra
è la beltate;
E se la
lingua tace,
Scuopre
et insegna il bel viso loquace
Con
silenzio facondo
Il bel
del cielo e di Natura al Mondo.
Ora con
vostra pace
Lumi
eterni dirò, ch’oggi cediate
I vostri
pregi a la mia cara stella,
Non muta
come voi, di voi più bella.
31
È
spezie di patire,
Confesso
di volere
E patir
e morire;
Perché
tacendo io moro di dolore
Infausto
esempio di tradito amore.
32
L’ingratissima
vostra empia onestate,
Sin che
per gli occhi si dilegui e stempre
Questa
vita che odiate;
E allor
fia che m’amiate
Forse,
quando vedrete esser lavato
Col
lungo pianto mio il vostro peccato.
33
O
rubella d’Amor mentita amante,
Voi
gioite, io languisco;
Voi
peccate, io patisco:
Né del
vostro piacer già mi dispiace,
Duolmi
che del mio male altri si vante,
E
ch’io vi ami mendace,
Benigna
ad altri, a me cruda e fugace.
34
Son io (donna
crudele),
Ma
ludibrio d’Amor, servo dolente.
Rigidezza
incostante,
Pudicizia
infedele,
Servitù
mia delusa et innocente.
Tal non
ardisce a mattutina rosa
Tra le
spine natie vaga e ritrosa
Timido
pellegrin stender la mano,
Che se
la coglie poi sozzo villano.
35
O mio
sterile Amore,
Inutil
servitù, vane fatiche:
Schive
mendaci ortiche
Che
crescon a se stesse
E
verdeggiano altiere incontro al sole
Ingiuriose
e sole
Son de
l’affetto mio l’ingrata messe.
O nemica
d’Amor beltà superba,
Così i
miei danni e gli error tuoi sospiro,
E del
tuo folle ardir meco mi adiro:
Che al
fin non colto fior, non gustata erba
Cade a
la Terra in seno
Arido,
poco e scolorito fieno.
36
Se
piansi, se temei, se mi adirai,
Furo il
pianto, lo sdegno et il timore
Conseguenze
et eccessi
D’amoroso
furore.
Offeso
offesi voi, a i cieli stessi
Non
perdonai cieco ferito insano;
Così
occhi miei dolenti,
Ingiuriosa
lingua, ingrata mano
Malgrado
vostro, avvien che pur mi penti.
Ma di
quanto già scrissi,
Di
quanto piansi e dissi,
Avventurosi
rei ne’ miei tormenti,
Vostra
carcere eterna fosse almeno
La bocca
di Madonna, il volto e ’l seno.
37
Come
talor nell’aspro Verno algente
Da
cacciatore industre
Tratta
dal nido suo Damma innocente,
Che
ferita fuggendo intorno segna
D’orme
sanguigne i mal sicuri campi,
E già
spirante insegna
Calda
pietate a la gelata neve
Che
’l sangue in van di lei nasconde e beve:
Tal
questo cor ferito avvien che stampi
Fuggendo
Amor crudel, la neve vostra,
Che già
mille vestigi ne dimostra.
Et
questi sono i segni in voi del sangue
Del mio
cor che per voi piagato langue.
38
Sì che
la Terra inonda,
E turba
il suo riposo
A la
notte et al sonno.
Versano
gli occhi miei lagrime tante,
Che
chiuder non si ponno,
E ciechi
nondimeno
Seguono
l’alma errante
Che
fugge dal mio seno.
Così
piovendo, oimè, sdegnoso umore
Misero,
sento esanimarmi il core.
Ciel non
mi calse, e godei lieto amante,
Ardito
supplicante
Giorni
più chiari assai, luci più belle;
Infausto
or più di te mi fanno in tanto
Tenebre
di dolor pioggia di pianto.
40
O
sacrilega mano, o portentosa,
D’infernal
crudeltà fiera ministra;
Umano
ardir tant’osa?
Tanto
può cieco sdegno empio furore
Ne la
sua maestà ferire Amore?
Ferito
Amore nel caro viso langue,
Che per
defender lui se stesso offerse
Al colpo,
e ne versò gemito e sangue;
Quindi
la terra di rubini asperse
Con
ferite invisibile il bel volto;
E si
vide d’intorno
Agghiacciare
ogni cor pietoso gelo
Impallidire
il sol, piagner il cielo.
Così il
lume ti è tolto
A nostro
danno, a tuo perpetuo scorno
Il
felice d’Amor nemico giorno.
41
Vita del
mio dolore,
Pena del
mio riposo,
Custode
del mio amore,
Registro
de la mia dolente istoria
Importuna
memoria,
Quando
un giorno fia mai che mi abbandoni?
Crudel
meco la notte anco ragioni?
E turbi
la mia pace
Con
silenzio loquace?
Quindi
misero in vano
Amorosi
fantasmi abbraccio e stringo,
E le
noiose piume amante insano
Con
desti sogni (oimè) premo e lusingo,
O
memoria, memoria vivo inferno,
O de la
vita mia tormento eterno.
42
In
questo loco istesso
Già mi
faceste vostro,
Et io
pur vostro adesso
Mi
dichiaro e confesso.
O loco,
o dì felici,
O
spettatori amici
Del mio
ben, del mio ardir, dell’amor nostro…
Cari
ministri di amorosi auspici
Ascoltate
e tacete,
Osservate
e godete,
Che
sentirete confidarvi ognora
Maggior
secreti ancora,
E udrete
risonare in mille modi
Ne i
nostri eterni amor le vostre lodi.
43
Qual
dolente Usignuolo
Che
abbandonato e solo
Ora
stridendo, or mormorando esprime
I suoi
lunghi lamenti,
Son io,
che in basse rime
Chiedendo
ormai pietà de’ miei tormenti,
Divengo
del mio duol misera preda,
E grido
“io moro”, e non è chi me ’l creda.
Però se
tu ben mio lodi il mio canto,
Sappi
che ’l mio dolor lodi e ’l mio pianto.
44
Quasi in
proprio Parnaso
Novello
Apollo oggi risiede Amore;
È
l’ingegno di lei novo Pegaso,
Elicona
è la bocca,
Le doti
e le virtù sono le suore
Di
amoroso furor distributrici,
E quindi
non si scocca
Strale
dorato più, Carmi felici,
Leggiadre
rime elette
Sono
dardi e saette,
E sono
il canto infin, lo stil, la cetra
Foco e
face d’Amor, arco e faretra.
Or chi
fia che da Apollo lo distingua,
Se fere
con la penna e con la lingua.
45
È la
penna ministra della lingua,
E la
lingua del core;
Ma
l’una e l’altra attendono da voi
Del lor
proprio poter l’uso migliore.
Se mi
temprate l’una, perché sia
Co’
caratteri suoi
Atta ad
espor quel che la lingua vuole;
Temprate
ancora questa lingua mia,
Sì
ch’esprima o produca le parole
Conformi
a quel concetto
Che voi
cor mio dettate in questo petto.
E se
spietata man ferisce l’una
L’altra
ferisca ancor bocca importuna,
Perch’ad
ambi saran vita e soccorsi,
All’una
le ferite, all’altra i morsi.
46
Creatura
del Ciel, figlio del Tempo,
Padre
de’ miei diletti, Anno felice;
Che
mentre te ne vai,
E
morendo in te stesso al mondo nasci,
Quasi
nova Fenice
Nel mio
foco rinasci.
Or tu
rinato a me propizio vivi,
Che
quando anco di lume il ciel ti privi,
E neghi
al viver mio forma et essenza,
Il mio
sol, le mie stelle
E questa
non errante intelligenza
De le
amorose mie sfere novelle,
Saranno
a i giorni tuoi, a la mia vita
Moto,
legge, virtù, luce infinita.
47
Partirò
finalmente.
Duro
passo mortale:
Avere il
ben presente,
E gir
lontano a ricercar il male.
Ma se il
ben non è bene
Quando
non è comune, io non ho bene;
O pur
Tantalo amante
Ho nel
presente ben tormenti e pene.
Ben mio
crudel mentre io vi sono inante
Supplice
ancor tremante,
Deh per
pietà di questa mia partita
Levatemi
la vita.
48
Donzella
simile alla rosa
La
verginella è simile a la rosa
Che
pargoletta ancora
Su le
materne braccia errante, in seno
De la
siepe natia si nutre e posa.
Quindi
crescendo a la rugiada, allora,
Emula
dell’Aurora
Inanzi
al sol rosseggia,
Et apre
a pena le purpuree labbia,
Che
scuopre ritener nel chiuso core
Con
avara onestà fiamme d’Amore;
Adulta
poscia se stessa vagheggia
E
baldanzosa si conosce a pieno
Amata e
bella, e par che a sdegno s’abbia
Tanto
giacer tra le custodi spine:
Così a
man pellegrine
Si offre
talora, et s’ella non è colta,
Spoglia
inutil d’Amor langue insepolta.
49
Comune,
o per ristoro o per vendetta
Farsi
nel mondo un altro Mondo Amore,
Poiché
gli tolse il rio colpo mortale
Con quel
volto beato
Il
trionfo, la Reggia, il Tribunale.
Così
dunque dispose;
Cener,
pianti, sospir, fiamme amorose
Sien
Terra, acqua, aere e foco;
Sian le
virtù di lei cielo stellato;
Amor
primo motore,
Et ella
sol col nome in ogni loco
Sia
spirito fecondo,
Che
informi poi questo novello Mondo;
E così
ne saranno Adria i tuoi pianti
Memorie
eterne a i pellegrini amanti.
50
Tomba
tromba d’Amor, marmo loquace;
Come a i
nostri lamenti
Sordo
rispondi, e co’ tuoi muti accenti
Tacito
lodatore al Mondo incresci,
E
’l nostro danno e la tua gloria accresci.
E tu ne
gli orror tuoi Morte vivace
Dunque
spegnesti il bel del Mondo (ahi lasso!)
Per
avvivare un sasso?
Deh
ceneri beate,
Ah che
sepolte voi di voi parlate,
E
rendete così sopite e morte
Nel
sepolcro oggidì viva la Morte.
IL FINE