La musica secondo... Maurizio Pollini

Maurizio Pollini in un'intervista su Mozart.

Maestro Pollini, i 27 Concerti per pianoforte e orchestra sono considerati la parte più rappresentativa del catalogo strumentale di Mozart. Perché secondo lei?

"A dire il vero, Mozart ha raggiunto vette straordinarie in tutti i generi nei quali si è cimentato. Pensiamo, ad esempio, alla musica da camera o alle grandi Sinfonie... Tuttavia, rimanendo nell'ambito della musica strumentale, è corretto parlare di un primato del genere del Concerto, anche perché Mozart ne compose davvero tanti nei suoi ultimi anni di vita, quelli della piena maturità. Più ancora delle Sinfonie, che in buona misura risalgono a periodi precedenti".

Nella storia della critica, tale primato è stato giustificato sostanzialmente in tre modi: per il felice innesto di elementi teatrali, per l'intrinseca libertà formale del genere, per la varietà d'espressioni che vi sono contenute. Quali di queste argomentazioni le sembra più pertinente?

"Ripercorrendo i Concerti ad uno ad uno si possono trovare numerose affinità con le opere teatrali, certo. Ma a mio parere ciò che li rende unici e inimitabili, come d'altronde ogni opera mozartiana, è la ricchezza delle espressioni. Nei lavori teatrali è tratteggiato ogni possibile carattere umano ed anche nei Concerti si può rintracciare una tale varietà di colori espressivi. Bruno Walter trovava caratteri diversi ogni quattro battute, infatti nelle sue esecuzioni non cadeva mai nel rischio dell'uniformità, che è il peggior nemico dell'interpretazione mozartiana".

I temi e i sentimenti più profondi nella forma più semplice e chiara: talora la musica mozartiana sembra persino elementare, tanto che anche un bambino ne percepisce i toni, quando celestiali, quando terribilmente drammatici. Quale reazione provoca questa verità - a ben pensarci, sconvolgente - a un interprete speculativo come Pollini?

"In realtà si tratta di una semplicità apparente. Vi è, infatti, al di là dell'apparenza, un secondo grado di semplicità, un doppio fondo: un livello di superficie e un livello profondo.

Qui viene in mente una famosa lettera, quella in cui Mozart scrisse a suo padre: "I Concerti sono la via di mezzo tra il troppo difficile e il troppo facile; [...] qua e là solo gli intenditori possono trovarvi soddisfazione, ma in modo che i non intenditori ne siano contenti senza sapere perché".

E poiché il fatto creativo presenta un livello immediato ed uno profondo, ogni interprete dovrebbe ripercorrere questa dinamica. Nel cercare di rappresentare quello che ho definito il "secondo grado di semplicità", si può sempre correre il rischio di caricare le tinte ma, in quella zona di approssimazione al vero che caratterizza ogni lettura, preferisco un errore per eccesso che per difetto: meglio un accento in più che uno in meno. Il nemico è l'uniformità di carattere. Più la musica è lontana nel tempo, più sembra perdersi in un carattere anonimo, mentre dovrebbe essere il contrario. La prospettiva di lontananza non ci deve impedire di cogliere le sfumature; anzi, dovrebbe costituire un arricchimento. A me interessa che la musica di Mozart sia innanzitutto viva".

Pianisticamente parlando, che tipo di ricerca deve compiere l'interprete per definire un perfetto suono mozartiano, ammesso che esso esista?

"Il perfetto suono mozartiano è l'ideale al quale tutti i pianisti tendono. Per me la magia della scrittura di Mozart sta soprattutto nell'espressività dei cantabili, che fanno pensare alla voce umana. Condivido il paradosso di Pablo Casals che bisognerebbe suonare Chopin come Mozart e Mozart come Chopin. Naturalmente c'è anche molto altro nel linguaggio mozartiano: il contrappunto, tanto per fare un esempio. D'altra parte, Mozart gioca con elementi disparati e riesce a farli convivere attraverso un'arte inarrivabile. E con piena consapevolezza. Detesto, a tal proposito, il parere espresso da quel famoso biografo secondo il quale Mozart non sarebbe stato perfettamente consapevole di quello che faceva, in quanto toccato dalla grazia. Come pensare che uno dei più grandi drammaturghi di tutti i tempi non avesse coscienza e controllo totale sulla propria arte?

[...] Che ricordi ha del direttore d'orchestra austriaco [Karl Böhm] di cui ricorre il ventennale della scomparsa?

"In quegli anni ero entusiasta delle esecuzioni mozartiane di Böhm, che ascoltavo in disco e dal vivo a Salisburgo. Perciò gli chiesi di fare un fare un disco mozartiano con lui. Nacque così questa collaborazione, che poi proseguì con i Concerti di Beethoven e con il Primo di Brahms. Si creò un'intesa musicale straordinaria, al di là delle possibili aspettative, visti i mondi diversi che rappresentavamo".

Egli ha peraltro lasciato un'orma gigantesca nella storia dell'interpretazione mozartiana. È un orma ancora viva?

"Lo è oggi come ieri, e non solo nel caso di Mozart. Böhm è stato un interprete sensibile. Cercava di andare al cuore della musica, perciò le sue interpretazioni saranno sempre valide al di là delle mode interpretative, che - al contrario - sono effimere".


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