La musica secondo... Maria Callas
Maria Callas, la voce. - Maria Callas: CD Dossier - Maria Callas: parla Walter Legge.
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Maria Callas, la voce.
Una volta, scrivendo sulla Callas, Eugenio Gara invocò questo appropriatissimo proverbio cinese: "Chi cavalca la tigre non può più scendere". Se consideriamo l'evidenza della carriera della Callas, e registriamo i trionfi, l'audacia ed i pericoli della sua vita artistica, una sola è la conclusione che emerge: con un repertorio così vasto ed un coinvolgimento così intenso nei suoi personaggi, la Callas ha richiesto da se stessa più di quanto le avrebbe fatto comodo. Ed è altrettanto chiara un'altra conclusione: se non si fosse sfidata sino a quel punto, se si fosse contenuta entro i limiti per lei più confortevoli, probabilmente non sarebbe mai diventata 'la Callas'. Non si può arrivare dove è arrivata lei con mezze misure.
L'esperienza della Callas ricorda un po' le sensazioni che si provano al circo allo spettacolo dei trapezisti. La tensione e l'eccitazione derivano dai rischi che vi sono implicati. Tuttavia, al circo c'è la rete, il trapezista lo sa, e lo sa anche il pubblico. Quindi, sebbene il controllo e l'abilità siano sempre elementi essenziali per il successo dello spettacolo, sia l'azione, in alto, che la reazione, in basso, si riducono, in un certo senso, ad una benevola simulazione da entrambe le parti. Invece, si viene a creare un'atmosfera totalmente diversa quando gli esercizi sono senza rete. Ogni spettatore sembra allora essere strettamente legato ad ogni movimento che si svolge in alto, perché non si tratta più di simulazione. Si potrebbe dire che la Callas era una delle rare interpreti operistiche che lavorasse senza rete. Nessuna meraviglia, quindi, se si era instaurato un rapporto così intenso tra lei ed il suo pubblico, e che il fascino della Callas sia durato anche dopo la fine delle sue esibizioni.
Talvolta cadeva. Ma era sempre pronta a rialzarsi e a sfidarsi di nuovo. Questo coraggio non era dovuto soltanto al suo grande talento ma anche alla consapevolezza dei difetti della sua voce. Anche nei suoi giorni migliori (per esempio il periodo di Città del Messico), la voce della Callas era divisa in tre registri diversi: quello basso, velato, imbottigliato; quello medio, esile; e il registro acuto così brillante da suonare talvolta stridente, e che ogni tanto sembrava minacciare di sfuggire al suo controllo.
Tuttavia seppe conquistarsi un vasto pubblico, e sia per questi suoi 'difetti', se si considerano tali, sia per le sue virtù. In realtà, questo fenomeno non è nuovo nella storia del canto. Nel 1824, un centinaio di anni prima che nascesse la Callas, Stendhal scriveva queste parole a proposito di Giuditta Pasta, che si possono adattare benissimo anche alla Callas:

«Possiede il raro dono di poter cantare da contralto con la stessa facilità con cui canta da soprano. Direi... che l'esatta designazione della sua voce è di mezzo-soprano, pertanto qualsiasi compositore che scriva per lei dovrebbe usare la gamma vocale del mezzo-soprano... pur toccando di tanto in tanto, come se fosse per caso, le note più periferiche della sua estensione. Molte delle note di questa categoria non sono proprio bellissime in se stesse, ma riescono a produrre una specie di risonanza, di vibrazione magnetica che, grazie alla combinazione di alcuni fenomeni fisici rimasti ancora oggi inspiegati, esercita un effetto ipnotico immediato sull'animo dello spettatore.
[Stendhal continua, sottolineando, come io farei per la Callas, che la voce della Pasta non era] forgiata dallo stesso metallo, come direbbero in Italia; e questa fondamentale varietà di toni prodotti da una stessa voce diventa una delle vene più ricche di espressività musicale che l'arte di una grande 'cantatrice' possa sfruttare.
...Molte altre cantanti famose della vecchia scuola hanno già dimostrato da tempo come un apparente difetto possa essere trasformato in una fonte di infinita bellezza, e come possa essere sfruttato per apportare un fantastico tocco di originalità. Infatti, la storia di questa arte ci dovrebbe insegnare che non è certo una voce perfettamente pura, argentina, impeccabilmente intonata in ogni nota della sua estensione che può raggiungere i migliori risultati di canto appassionato. Una voce totalmente incapace di variazioni non potrà mai produrre quel timbro opaco, o soffocato, che risulta subito così commovente e naturale nel ritrarre certi istanti di emozione violenta, o di angoscia appassionata.

È stato detto, e non senza ragione, che la voce della Callas "aveva molte meno qualità di qualsiasi altra che abbia raggiunto la fama internazionale via fonografo", un mezzo che, necessariamente, favorisce le doti timbriche, dato che non può trasmettere direttamente le qualità fisiche e drammatiche. Tuttavia, era una voce che non si poteva dimenticare. Ha tormentato e infastidito tanti, quanto ha ispirato e colpito altri, ed erano i colori personalissimi della sua voce, insieme ai suoi limiti, che rendevano il suo sound così originale.
Altrettanto interessante era il suo modo di cantare. La Callas veniva da una severa formazione belcantistica, sotto la guida della sua insegnante Elvira De Hidalgo, una prospettiva poi riaffermata dal suo consigliere Tullio Serafin. Questo tipo di incanalamento vocale era l'ideale per il carattere della Callas. Era una tradizionalista convinta, una puritana musicale che cercava avidamente limiti stilistici e poi si evolveva all'interno di essi. Maggiori erano i confini, più grande era la sfida e quindi, in fin dei conti, la sua libertà. Una partitura la metteva di fronte ad un suo dato problema. Il riuscire a superare un dato problema era l'incentivo che la spronava a fare nuove conquiste, a mettere ulteriormente alla prova la sua voce e le sue capacità. Tutto questo, a sua volta, la portava ad una prodigiosa padronanza di difficoltà tecniche come il trillo, l'acciaccatura, le scale, i gruppetti ed altri abbellimenti. Queste qualità, la capacità di cantare a gola spiegata, un senso innato del legato e una dizione imperniata sulle vocali, tutto la predestinava ad un repertorio preminentemente belcantistico, sebbene la sua voce fosse fondamentalmente quella di un soprano drammatico.

Comunque, alla lunga, il sound particolare della Callas e le sue conquiste tecniche avrebbero avuto un minore impatto sul pubblico se non le avesse usati entrambi per modellare la musica a fini creativi ed espressivi. Tutte le risorse di un cantante (respirazione, tempi, dinamica e accenti agogici, abbellimenti, rubati, e perfino i silenzi), li usava al massimo per comunicare impressioni e stati d'animo. Anzi, la Callassembrava addirittura incapace di essere inespressiva; perfino quando cantava una semplice scala vi implicava un atteggiamento o un sentimento drammatico. Questa capacità di comunicazione era qualcosa di totalmente innato in lei. La sua capacità di lavorare duramente e la sua grande curiosità la portavano a chiedersi incessantemente cosa richiedesse una certa partitura, e anche ciò che lei stessa voleva. Poco a poco riuscì a far sua l'arte di dare ad ogni frase la giusta intensità espressiva e ad indovinare sempre il giusto accento per sottolineare o evidenziare un dato pensiero. Quando era al massimo della forma, la voce della Callas diventava uno specchio rivolto verso le emozioni umane. Tono ed intenzione diventavano incredibilmente interdipendenti. In una interpretazione non si limitava mai ad offrire una serie di punti cruciali impastati con delle pezze indifferenti o incomplete, come fanno molti. Con la Callas, un recitativo risultava altrettanto attento e integrato di un'aria. Uno potrebbe anche non condividere qualche aspetto del suo modo di cantare, e potrebbe anche dire che era tanto perfetta per un ruolo quanto inadatta per un altro, ma in genere la Callas riusciva a far accettare o rifiutare il suo concetto del canto nel suo insieme, tanto era consistente e chiaro il suo approccio ad una parte. Era questa la sua fondamentale motivazione come artista.
(Brano tratto dal libro The Callas Legacy di John Ardoin, Duckworth 1982, revised edition.


Maria Callas: CD Dossier
Su Maria Callas si è già detto tanto. Nei primi dieci anni dopo la sua morte è stato pubblicato tutto il materiale che lei ha registrato in studio e quasi tutto il materiale che si trovava nei vari archivi pubblici o privati. Ma l'era del CD e le pubblicazioni in questo supporto sonoro delle vecchie registrazioni disponibili in microsolco faranno scorrere nuovo inchiostro su questi vecchi temi. La EMI, che detiene in assoluto, a parte pochissime eccezioni, la proprietà delle registrazioni in studio di Maria Callas, ha inspiegabilmente ritardato moltissimo la pubblicazione delle opere complete della grande soprano, immettendone peraltro sul mercato, fino ad ora, solo sette su ventitre che possiede e solo due CD di arie, sebbene avesse la possibilità ed il materiale per pubblicarne almeno dieci. Ma la multinazionale inglese notoriamente non segue le innovazioni tecnologiche a pari passo con le concorrenti società tedesche e olandesi; ci ricordiamo che quando, nel 1955, la Polygram e la Decca iniziavano le registrazioni stereo la EMI stampava ancora dischi da 78 giri. La cosa ha fatto comodo alle piccole case che, facilitate dalla legge sul dominio pubblico, hanno riempito gli spazi vuoti con le registrazioni live della 'Divina'.
Siamo comunque agli inizi, poiché sicuramente presto o tardi la EMI sfrutterà tutto il materiale dei suoi archivi (la Callas e i Beatles sono la fonte inestinguibile di guadagno) e le piccole case continueranno a passare su CD il resto del materiale che, spesso con mezzi di fortuna, è stato registrato in questi undici anni, tra il 1950 ed il 1965, della carriera folgorante dell'ineguagliabile artista.
Questo nostro articolo è un'istantanea sulla situazione attuale, soggetta a cambiare prima che il testo arrivi alla stampa. Non ci dilungheremo troppo in critiche riguardanti l'interpretazione in quanto sono cose già dette e ridette, ma ci limiteremo ad elencare i dischi disponibili, casa per casa, segnalando spesso particolari tecnici che si riferiscono al passaggio da microsolco a CD.

L'onore della precedenza va naturalmente alla EMI in quanto casa discografica che ha avuto in contratto di esclusiva Maria Callas dal 1953 fino alla morte e che non ha saputo sfruttare il tesoro che aveva fra le mani.
Uno dei momenti culminanti della storia del suono registrato è la famosa Tosca prodotta nell'agosto del 1953 da Walter Legge. Nel mondo della discografia operistica non c'è altra registrazione così perfetta e ideale come questa. La Callas ha nel sangue il personaggio, Di Stefano realizza un Cavaradossi ineguagliabile e Gobbi fa scuola per gli 'Scarpia' a venire. De Sabata ha firmato la sua esperienza musicale più completa.
Era naturale che la EMI iniziasse la pubblicazione delle opere della Callas con questa registrazione (CDS 7471758 - 2 CD). Unico neo di questa favolosa edizione: un taglio illogico in mezzo al secondo atto per cambiare disco, quando si poteva mettere il primo atto nel primo CD (42'36'') e gli altri due nel secondo (65'28'' in tutto).
Sette mesi dopo la registrazione di Tosca, Maria Callas incide la sua seconda opera per la EMI: la Norma (CDS 7473048 - 3 CD). Il direttore è Tullio Serafin, non all'altezza del sinfonismocorale di De Sabata ma grandissimo conoscitore di voci, mentore della Callas (l'aveva realmente scoperta lui e le stava sempre vicino).
L'interpretazione del grande soprano non ha le finezze e l'approfondimento che troviamo nella successiva registrazione del 1960, ma la voce è in piena salute; robusta, olimpica, granitica, sono aggettivi che possono descrivere solo in parte la qualità di questo canto. Mario Filippeschi è un Polione anemico, Rossi-Lemeni, anche se non in piena forma, è un Oroveso monumentale. Il primo e il secondo CD contengono il primo atto (52'34'' - 37'28''), il terzo CD contiene il secondo atto (71' 08'').
Rigoletto è la terza opera della Callas che la EMI ha pubblicato in CD (CDS 7474698 - 2 CD), tralasciando, fino a questo momento, Lucia, Puritani, e Cavalleria del '53, Pagliacci, Forza e Turco del '54, e Aida del '55. Questa volta i tecnici della EMI non ripetono l'errore commesso nella Tosca, mettendo il primo atto nel primo CD (56'08'') e gli altri due nel secondo (61'51''). La Callas realizza un ritratto di Gilda drammatico e reale, Tito Gobbi è un tragico Rigoletto, Di Stefano un frizzante duca. Serafin, grande maestro di canto, collabora con gli artisti e respira insieme a loro il ritmo e le melodie di Verdi. La qualità del suono è molto buona, se si considera la data di registrazione: settembre 1955.
Ancora un vuoto che contiene Trovatore, Bohème e Ballo del '56 e Barbiere del '57, e siamo alla Sonnambula registrata nel marzo del 1957, esattamente due anni dopo il debutto di Maria Callas alla Scala con questa stessa opera. Due anni che, anche se hanno lasciato il segno nelle sue qualità vocali, sono stati utili per l'approfondimento dell'interpretazione del personaggio di Amina.
Votto non ha la bacchetta folgorante di Bernstein, che ha diretto la prima alla Scala, né Monti riesce a eguagliare l'Elvino interpretato da Valletti, ma anche con i loro limiti danno un'interpretazione che rispetta il testo musicale.
Giusto il taglio dei CD: primo atto, primo CD (60'44"), secondo atto, secondo CD (59'48") (CDS 7473788 - 2 CD).
Le EMI ha pubblicato Manon Lescaut, mantenendo il buon senso degli atti (CD 58'42" - 61'38").
La Callas non era nelle migliori condizioni vocali e questo si sente durante l'aria "In quelle trine morbide" dove i do acuti sono incerti e i si bemolle non precisi, ma la ricerca e l'approfondimento musicale che la Callas ha fatto sul personaggio di Manon restano ancora irraggiungibili. Di Stefano è un partner perfetto nel dare con lei il colore "francese" del dramma di Prèvost nell'opera tipicamente italiana di Puccini. La qualità del suono è veramente molto buona (CDS 7473938 - 2 CD).
La Lucia di Lammermoor (CDS 7474408 - 2 CD) registrata nel marzo 1959 è stata preferita per la pubblicazione su CD a quella del 1953, che era stata anche la prima opera registrata per la EMI dal soprano greco. A torto! In quanto nella versione del '53, sul piano vocale, la Callas era in piena forma e trovava in Di Stefano il partner ideale. Non che questa interpretazione del '59 abbia dei demeriti: i "pianissimo" sono bellissimi e il registro acuto è cantato con estremo controllo, ma il resto del cast è insignificante e solo Serafin mantiene la giusta tensione drammatica.
La ragione di questa preferenza sta sicuramente nel fatto che la versione del '59 è stata registrata originariamente in stereo. Il suono è eccellente e il taglio dei CD giusto, tenendo la parte prima nel primo CD (38' 54") e la parte secondo nel secondo CD (71'53' '); la divisione dell'opera in tre atti che appare sul libretto della EMI è errata, in quanto, per definizione dello stesso autore, essa è composta da due parti: la prima di un atto unico e la seconda di due atti.
La penultima opera completa registrata per la EMI da Maria Callas è stata la Carmen.
Dalle memorie di Walter Legge, pubblicate in seguito, veniamo a scoprire che anni prima Beecham aveva proposto alla Callas di registrare quest'opera con lui, ma lei rifiutò. Beechamripiegò con successo su Victoria De Los Angeles, mentre la Callas dovette attendere il luglio 1964 per registrare quest'opera con Prêtre e l'orchestra dell'Opéra. La nostra fantasia non basta per immaginare cosa sarebbe diventata una Carmen cantata da Maria Callas e diretta da Beecham; sono sfortune inspiegabili.
Nell'estate del 1964 la Callas si trovava a Parigi per cantare Norma, Glotz e Prêtre la convinsero a registrare subito dopo la Carmen di Bizet. Vocalmentenon è la cosa più bella registrata dalla Callas, ma come sempre lei dà una nuova luce al personaggio. Nicolai Gedda è un Don José perfetto, Andrea Guiot una Micaela affascinante, Massard uno squisito Escamillo. Prêtre non ha la finezza di Beecham ma riesce a dare la drammaticità di un "jeux de scene".
L'opera è pubblicata in tre CD di 49'39'', 39'39'' e 56'55''; è un peccato! Poiché si poteva facilmente distribuirla in due CD di 73 minuti ciascuno, facendo il taglio nel numero 17 della partitura prima del duo Carmen-José: "tout doux monsieur". Il suono è perfetto e la stereofonia ampia e profonda (CDS 7473138 - 3 CD).
La Fonit Cetra, che ha avuto la fortuna di avere il primo contratto in esclusiva con la Callas e la sfortuna di perderlo poco tempo dopo, ha pubblicato in CD tre opere, registrate con la collaborazione delle orchestre della RAI. La prima è la Gioconda del settembre '52, che è anche la prima opera completa registrata dalla Callas in studio.
Se il resto del cast fosse stato all'altezza della Callas avremmo avuto un altro punto culminante della storia della discografia. La sua interpretazione dispiega tutti i colori possibili e immaginabili che una voce possa possedere, giustamente Giorgio Gualerzi intitola così le note del libretto: "Scrivo Gioconda e dico Callas.". È un documento che non deve mancare a nessuna collezione.
È pubblicata in tre CD di 53'46'', 53'07'' e 58'32'', ma si poteva, con un po' di impegno da parte della casa discografica, mettere sull'ultimo CD tutto il terzo atto portandolo a 74' per evitare il taglio in mezzo. La ricostruzione tecnica è lodevole, tenendo presente la qualità del materiale originale (VDC 9 - 3 CD). Ogni volta che mi cade tra le mani la Traviata registrata nel settembre '53, un mese dopo la Tosca con De Sabata, con l'orchestra della RAI di Torino, mi viene in mente San Giovanni Battista. Perché come lui la Callas durante queste due ore, che è la durata di quest'opera, è una voce che parla nel deserto: Santini non ha l'impeto necessario, Albanese è sbiadito e Savarese non è all'altezza; sarà anche la differenza di statura che li fa sentire ancora peggio. Basta comunque la presenza della Callas per fare di questo album una pietra miliare della discografia della Traviata (CDC 2 - 2 CD: 68'04'' - 54'18'').

La Norma, che è la terza opera pubblicata dalla Fonit Cetra, non fa parte del contratto che la Callas ha avuto con la casa discografica; è stata registrata invece durante un concerto alla Rai di Roma il 29 giugno 1955. La qualità della registrazione non è molto buona in quanto all'epoca avevano trasferito il suono dai nastri originali in microsolco. Una parte di questi nastri è stata distrutta (come ad esempio tutta l'introduzione all'aria "casta diva") ed è stata ricostruita minuziosamente dai microsolchi sopravvissuti.
Sia la Callas che Del Monaco hanno utilizzato questo concerto come "prova generale" dello spettacolo che cinque mesi dopo apriva la stagione della Scala. Loro due sono davvero in forma: si può rimpiangere l'Adalgisa di Ebe Stignani che appartiene ad un mondo anteguerra; Giuseppe Modesti è un mediocre Oroveso. Tullio Serafin dirige l'opera come un poema epico con momenti di notevole lirismo.
Con un taglio di 58' e 53" del primo CD, 59' e 58" del secondo CD, l'opera finisce a 34' e 34" del terzo CD, lasciando spazio per 34' e 25" di musica che la Fonit Cetra riempie con arie di Bellini cantate dalla Callas:
-"oh, s'io potessi... con sorriso d'innocenza" da il Pirata, Concertgebouw Orchestra diretta da Nicola Rescigno. 2 luglio '59 (17'44")
- "ah, non credea mirarti... ah, non giunge uman pensiero" da La Sonnambula, Orchestra del Teatro alla Scala diretta da Antonino Votto 4 luglio '57 (9'17").
- "oh, vieni al tempio" da I Puritani, Orchestra della Rai di Milano diretta da Alfredo Simonetto. 19 novembre '56 (7'24")
(CDC 4-3 CD).

La Hunt Productions ha immesso sul mercato, nel 1986, otto opere cantate da Maria Callas ed altre cinque sono state pubblicate in seguito.
Per quanto riguarda l'elaborazione sonora, è importante notare che le musiche sono state controllate persino dal punto di vista della tonalità e ricostruite in ogni minimo dettaglio.
L'ottima ricostruzione tecnica, effettuata dai nastri radiofonici, è di Hans Peter Ebner.
Medea è stata un'opera molto amata dalla Callas, il personaggio della mitologia greca che lei interpretò è quello che considerava più vicino al suo carattere.
Quest'album di due CD (57'55" - 65'44"), ci riporta alla straordinaria serata del 7 maggio 1953, in cui lei ricreò dal nulla il ruolo di questa donna mistica e reale, al limite fra l'umano ed il soprannaturale; è un gioiello da non perdere (2 HUNT CD 516).
Di tutte le opere che la Callas ha cantato in teatro due sono i momenti irraggiungibili che per lungo tempo hanno lasciato la loro ombra nella storia dei teatri d'opera: la Traviata prodotta da Visconti e diretta da Giulini e la Lucia di Lammermoor prodotta e diretta da Karajan.
La Traviata del 28 maggio '55 alla Scala, insuperata, sarà l'incubo di tantissimi soprani, direttori e sovrintendenti di vari teatri che non avranno il coraggio di affrontarla oppure, quando l'hanno fatto, hanno dovuto fare i conti con la sua memoria.
Il suono non ha la stessa qualità di quello della Lucia, ma si guarda a quest'opera come si guardano i grandi monumenti del passato dove le piccole smagliature danno prestigio. Ci sembra inutile dilungarci riguardo a quest'opera di risaputa importanza; la versione qui dataci è qualitativamente la migliore di tutte le pubblicazioni ascoltate fino ad ora (2 HUNT CD 501 - 70'17" - 53'26"). La Lucia di Lammermoor, per fortuna registrata durante la tournée del Teatro alla Scala a Berlino il 29 settembre '55, ci è pervenuta con un suono bellissimo, molto vicino a quello delle registrazioni effettuate in studio. Tutti sono perfetti nei loro ruoli, Karajan trascina orchestra e cantanti in una interpretazione espressiva e drammatica verso un trionfo finale; tutto il settimino della quinta scena del primo atto della seconda parte è bissato a furor di pubblico.
È strano che Karajan non abbia ripetuto questa felice esperienza ritornando a dirigere un'opera con la Callas a teatro.
L'opera è pubblicata in due CD (2 HUNT CD 502 - 55'30" incluso il bis del settimino - 66').
Il 1955 è stato veramente l'anno più significativo nella carriera di Maria Callas; vocalmente all'apogeo delle sue possibilità raggiunge anche le più alte sommità interpretative.
Dopo Traviata e Lucia, come ultimo fuoco d'artificio di questo prodigioso anno, Maria Callas apre, il 7 dicembre, la stagione scaligera con Norma, di molto superiore a quella cantata alla Rai di Roma nello stesso anno. Anche Del Monaco è più veritiero sulla scena che in concerto e la Simionato ci dà finalmente un'Adalgisa moderna. Antonino Votto realizza un'interpretazione drammatica dell'opera belliniana.
I ventiquattro minuti della Sonnambula che ci vengono regalati nel terzo disco appartengono a quella del 5 maggio '55 sotto la direzione di Bernstein, e non del 3 marzo '57, com'è erroneamente scritto sull'etichetta. L'opera è pubblicata in tre CD di 57'39" - 59'38" - 34'03", più i 23'48" dei brani scelti dalla Sonnambula (3 HUNT CD 517).
Il revival dell'Anna Bolena alla Scala, il 14 aprile 1957, ha segnato l'inizio di una nuova era operistica: quella del ritorno verso il bel cantismo delle opere semisconosciute, dimenticate a causa del Verismo, sopraggiunto con il '900, che aveva cambiato l'impostazione vocale dei cantanti.
Quello di Anna Bolena, anche se è stato interpretato solo pochissime volte da Maria Callas, è il personaggio che lei ha individuato meglio di qualsiasi altro da lei cantato, sia sul piano vocale che su quello interpretativo. Anche il resto del cast questa volta è alla sua altezza: Simionato, Raimondi e Rossi Lemeni, sotto la sanguigna direzione di Gianandrea Gavazzeni, portano, insieme alla Callas, la tensione drammatica di quest'opera fino al parossismo (2 HUNT CD 518 - 67'54" - 72'14").
Il famoso successo ottenuto da Maria Callas il 5 marzo '55 con la Sonnambula ha fatto sì che l'opera fu registrata per la EMI nel marzo del '57, come già menzionato, e fu anche una delle opere scelte per rappresentare il glorioso Teatro alla Scala nella tournée che pochi mesi dopo toccò Colonia e Edimburgo. Una delle due rappresentazioni a Edimburgo fu registrata e da questa incisione proviene questa edizione in compact (2 HUNT CD 503).
Maria Callas ritrova il personaggio drammatico ma anemico di Amina, sostenuta dalla direzione di Votto, molto più energica di quella realizzata nell'incisione per la EMI; anche Monti, la Cossotto e Zaccaria cantano molto meglio qui che nella versione in studio. Siamo di fronte ad una serata miracolosa che, se non supera quella della prima con Bernstein, perlomeno la eguaglia. Un album vivamente consigliabile (55'07" - 67'03"). Dello stesso anno della Sonnambula è il Ballo in Maschera registrato in occasione della serata inaugurale della stagione del Teatro alla Scala. Se nella registrazione in studio la Callas ci dava "la versione" di quest'opera, qui supera se stessa, sostenuta da un cast eccezionale (Di Stefano, Bastianini, Simionato) e da un direttore straordinario come Gavazzeni. È una delle più belle edizioni su disco di quest'opera (2 HUNT CD 519 - 50'56'' - 62'10'').
Nel 1960 la voce della Callas era in pieno declino e dover affrontare l'apertura della Scala con il Poliuto di Donizetti le sarà costato senz'altro molta fatica.
Si avverte all'inizio dello spettacolo una tensione cominciata molto tempo prima (Visconti, che doveva essere il regista, si ritira, scioperi sia dei musicisti che dei tecnici travagliano il teatro). Ma basta l'applauso, durato più di un minuto, regalato alla Callas dal pubblico milanese prima che lei scandisse una nota, a ridare agli artisti tranquillità e all'opera la giusta tensione drammatica. Questa serata finisce in un'apoteosi della "Divina", come se il pubblico della Scala volesse appagarla non solo di questa interpretazione, ma di tutta la sua presenza nel mondo musicale milanese durante quegli ultimi dieci anni. Correlli, Bastianini e Zaccaria rivaleggiano con lei sotto la direzione ispirata di Votto (2 HUNT CD 520 - 50'40" - 48'42“).
La Ricordi detiene, per una strana coincidenza, i diritti della Medea registrata per la EMI nel settembre '57. Walter Legge, legato ad un contratto per la registrazione di quest'opera, giudicandola poco commerciale preferisce cederla alla casa discografica italiana.
La presenza di quel mostruoso e geniale produttore che era dietro a tutte le registrazioni della Callas realizzate per la EMI, senza che di questo nessuno se ne rendesse conto ascoltando i dischi, durante questa incisione non c'è. E si sente! Siamo molto lontani dalle altre interpretazioni che la Callas ci ha lasciato di Medea. Quanto alla bella edizione della famosa serata del 10 dicembre '53 con Bernstein, l'unico interesse di questa versione è la giovane Renata Scotto nel ruolo di Glauce (2 CD ACDOCL 201 - 51'02" - 67'32").
Naturalmente, essendo le registrazioni dal vivo di dominio pubblico, altre piccole case discografiche hanno iniziato a sfruttare il materiale inciso durante le rappresentazioni con Maria Callas, talvolta facendo anche dei doppioni.
Citiamo qui la Traviata registrata alla Scala il 28 maggio '55, di cui esiste anche una versione sull'etichetta Foyer (2 CF 2001), e la cui qualità sonora non è altrettanto buona.
RECITALS. La EMI ha pubblicato due CD con arie cantate da Maria Callas. Il primo intitolato: Callas Opera aria, il secondo: Mad scenes and bel canto arias.
Dovendo riempire spazi maggiori ai 50 minuti del microsolco, questi CD contengono registrazioni effettuate in date differenti e con orchestre e direttori diversi. Così, se la durata dei CD è estremamente lunga (70'39" il 1° - 72'34" il 2°), manca la continuità dei microsolchi dei recitals della Callas fino ad ora pubblicati. Sarebbe stato meglio, facendo un catalogo di tutto il materiale registrato, iniziare a pubblicarlo con un criterio cronologico, oppure a tema.
In ogni caso, a parte le nostre lamentele, 70 minuti di Callas in CD valgono veramente tanto (CDC 7472822 - CDC 7472832).
La Fonit Cetra, mettendo insieme le prime registrazioni che la Callas ha fatto per questa casa e i concerti Martini e Rossi, ha pubblicato un album di due CD: Callas arie celebri (CDC 5 - 59'59" - 71'08").
Anche questa casa discografica non si è interessata a presentare queste arie con un criterio cronologico, come sarebbe stato auspicabile, ma le ha divise in questi due CD senza seguire nessun file logico, commettendo anche errori di date e direttori nella copertina. In ogni caso il fatto che la Callas sia nella sua forma migliore fa di questa edizione una delle più interessanti raccolte di arie cantate da lei.
Più intelligente è il CD pubblicato dalla Frequenz con il titolo: Maria Callas in Hamburg, contenente due concerti dati alla Musikhalle di Amburgo il 15 maggio '59 e il 16 marzo '62.
Per questioni di minutaggio è stata esclusa l'aria "una voce poco fa" dal Barbiere di Siviglia, che faceva parte del primo concerto e l'aria "nacqui all'affanno" dalla Cenerentola che faceva parte del secondo; povero Rossini sempre maltrattato! Il suono è eccellente (CMH 1 - 73'07").
Per finire, Movimento Musica ha pubblicato il CD intitolato: Maria Callas recital (011002). Di recital, comunque, non ha niente poiché i pezzi scelti da Norma, Lucia e Traviata appartengono a registrazioni fatte durante rappresentazioni delle opere complete.
A. Scavuzzo


Maria Callas: parla Walter Legge.
Non c'è dubbio che Walter Legge sia stato al centro della "renaissance" musicale europea dopo il 1945. Non solo creò la London Philharmonic Orchestra, che divenne poi il migliore complesso orchestrale degli anni Cinquanta, ma fu anche colui che scoprì e portò poi alla fama mondiale, tre delle personalità musicali più dotate del dopoguerra: Herbert von Karajan, Elisabeth Schwarzkopf e Maria Callas.
Sarebbe in realtà difficile sottovalutare il ruolo fondamentale di Legge nella carriera discografica della Callas. Come artista e direttore di repertorio per l'etichetta Columbia della EMI, fu un tramite decisivo per portare la Callas alla EMI, e in seguito i suoi suggerimenti e le sue decisioni furono cruciali nel determinare la scelta del repertorio da registrare. Soprattutto, partecipò attivamente a tutte le sessioni di registrazione, aiutando così la cantante a dare un'impronta personalissima ai suoi principali ruoli operistici. La testimonianza di Legge è quindi estremamente interessante, poiché fornisce un ritratto della Callas vista da chi raggiunse con lei un livello incomparabile di intimità artistica; e benché alcuni di questi commenti possano forse essere stati sentiti altrove, potete essere sicuri che ciò che leggerete proviene da una fonte autorevole, e non da una qualsiasi cameriera o da un autista, desiderosi soltanto di fare qualche soldo rivelando qualche particolare sulla loro famosa datrice di lavoro.
Ma Legge non ha mai scritto delle vere e proprie memorie; ha scelto invece di mettere su nastro ricordi della sua collaborazione con i molti artisti che seguì e di cui fu il produttore nel lungo periodo in cui lavorò alla EMI. Questi nastri sono ora proprietà di Nikos Velissiotis, e cogliamo l'occasione per ringraziarlo per averci dato l'opportunità di pubblicare una parte del contenuto di questi nastri.

L'ho ascoltata per la prima volta abbastanza tardi. Ne avevo sentito parlare molto. Chiesi ad un amico, Boris Christoff, che cosa ne pensasse e lui mi disse: "È molto brava ma non penso proprio che sia il tuo tipo di cantante. Ora, so per esperienza che se un collega dice così, vuol dire che c'è sotto qualche qualità straordinaria. Quindi, quando Christoff mi disse che non era il mio tipo io capii subito che lo era. E così, un giorno in cui io e mia moglie eravamo ospiti dei Christoff, a Roma, e vidi che la Callas cantava la Norma dissi a mia moglie che sarei andato e di non dire niente. Penso che quella fosse la prima volta che cantava la Norma. Dopo il primo atto ero talmente sconvolto che saltai in un taxi, mi precipitai nell'appartamento dei Christoff e dissi a mia moglie: "Devi assolutamente venire a teatro con me. Ho appena sentito la Callas". Lei mi disse: "No, non vengo. L'ho ascoltata alla radio nella trasmissione della Martini e Rossi. Non ho mai sentito una coloratura così bella in vita mia." Doveva essere il '48 o il '49.
Come cantante aveva l'elemento essenziale per arrivare ad essere una star: una voce personalissima, inconfondibile. Basta ascoltare anche solo mezzo solco di un vecchio LP: se è la Callas che canta, la si riconosce subito. La sua musicalità era enorme. In parte le veniva dall'istinto, in parte l'aveva coltivata... Un giorno ho fatto una lunga chiacchierata con quella che era la segretaria di Mitropoulosal tempo in cui la Callas frequentava il Conservatorio in Grecia. Lei mi disse che la Callas era sempre la prima ad arrivare: una ragazzotta grassa con le tasche rimpinzate di panini. Assisteva a tutte le lezioni; a tutte le lezioni di armonia, ad ogni lezione di contrappunto. Era la prima persona ad arrivare la mattina e l'ultima ad andarsene la sera. Si applicava con quella incredibile energia che l'ha accompagnata per tutta la vita, anche quando era solo una studentessa.
Della sua voce si può dire che non era materiale stupendo. Voglio dire, non era certo il materiale che avevano Rosa Ponselle (Rosa Melba Ponzillo) o Elisabeth Rethberg, per parlare di cantanti relativamente recenti. E non era neanche una voce divina come quella di Gigli. Ma ha saputo trasformare il materiale che aveva in uno strumento straordinario, e questo l'ha imparato da sola, grazie alla sua intelligenza, sebbene lei attribuisca enorme merito alla De Hidalgo, sua maestra... Con Rosa Ponselle non ha studiato mai. Penso che non l'abbia mai sentita dal vivo. Ne conosceva i dischi ma penso che non le abbia mai parlato. Credo, soprattutto, che fu la Callas stessa, a forza di volontà, a costruire e modellare la sua voce. Vede, io non credo che esistano buoni insegnanti di canto o cattivi insegnanti di canto; penso che ci siano buoni studenti o cattivi studenti. Non ho mai sentito di un insegnante di canto che abbia creato molti bravi cantanti. Ma talvolta, per una specie di miracolo, capita che un cantante trovi proprio l'insegnante giusto da cui può imparare.
Una cosa che pochissime persone hanno capito della Callas è che pur essendosi preoccupata durante tutta la sua carriera del bel canto, cioè del cantare bene, è stata una delle poche artiste che deliberatamente potesse produrre dei suoni di grande intensità drammatica da una sola sillaba, o addirittura da una singola consonante, per trasmettere il significato drammatico. Lei stessa ha spesso ripetuto: "Non sempre i testi che cantiamo sono alta poesia, ma questo mi lascia indifferente. Io so che per evocare un effetto drammatico per il pubblico e per me stessa devo produrre suoni che non siano belli. Quindi non mi importa se sono brutti finché sono veri". La Callas aveva un disprezzo assoluto per il canto bello fine a se stesso. Fioriture, abbellimenti e tutte queste cose di stile devono essere eseguiti perfettamente e il suono deve essere il più bello possibile. Ma quando si trattava di effetto drammatico, tirava fuori suoni che potevano essere orribili per rendere quel preciso impatto drammatico che voleva. Una delle cose più curiose a proposito della voce della Callas, e che ho notato dalla prima volta che l'ho sentita, era che riusciva ad emettere dei suoni per cui io in genere dicevo: "Sembra che canti dentro una bottiglia". Soltanto più tardi, quando ci conoscemmo meglio e andavamo insieme da uno specialista della gola, seppi e potei vedere che il suo palato aveva una forma quasi gotica. Era una cosa che non avevo mai visto. Si alzava come una guglia, e senza dubbio molti di quei suoni curiosi, coperti, talvolta quasi tozzi, le derivavano dalla struttura particolare della sua bocca. Ma dopotutto, la forma delle casse di risonanza, della bocca, delle corde vocali, sono proprio quei fattori che determinano il carattere della voce... Ho paura che la Callas potrebbe danneggiare tutta una generazione di cantanti, perché i giovani cantanti cercano di imitare non le virtù, o almeno non solo le virtù, ma anche quelle cose che lei faceva deliberatamente ma che poteva fare solo grazie alla sua intelligenza, e perché lei ne comprendeva il fine drammatico. Loro invece producono questi suoni che non erano belli, ma non capiscono perché, sanno soltanto che la Callas li faceva. Molti grandi cantanti sono stati la rovina delle generazioni seguenti. Pensi soltanto a tutti quei tenori che hanno cercato di imitare Caruso. Pensi a due generazioni di baritoni italiani che hanno cercato di riprodurre il fantastico volume di voce di Titta Ruffo, e i colori fantastici della sua voce senza avere il fisico adatto. Perché la testa di Ruffo era diversa da qualunque altra: aveva un naso grande, come un negro, niente collo, e non apriva mai troppo la bocca, ma riusciva a produrre ugualmente quel sound fantastico semplicemente per quella sua risonanza congenita, interna.
La Callas sul palcoscenico era molto consapevole. Sapeva esattamente cosa faceva in ogni istante e aveva un costante controllo di se stessa. Era molto sensibile all'atteggiamento del pubblico, e penso che lo preferisse contro di lei, all'inizio. Ho notato spesso alla Scala che quando c'era un primo atto un po' freddo, o una reazione fredda da parte del pubblico dopo il primo atto, la Callas sembrava raccogliere tutte le sue energie come se dovesse dominare il pubblico per pura forza di volontà, oltre che con ciò che stava per fare. Li aveva nelle sue mani con un'energia quasi demoniaca. E questo funzionava anche per le parti più liriche, come La Sonnambula, dove non c'è traccia di forza demoniaca. Bastava che si avvicinasse alla ribalta e cantasse l'ultima aria con quella sua brillantezza inusitata, incredibile, come per dire al pubblico: "Avete dubbi su ciò che posso fare? Prendete questo!" ...Mi capitò una volta di vedere la Callas contro il pubblico, a Parma in una Traviata. Andammo io e mia moglie. Entrammo un minuto prima che cominciasse lo spettacolo, e io notai che tutto intorno alle poltrone di platea c'erano uno accanto all'altro, un poliziotto e un'infermiera, poliziotto, infermiera, ecc. Si sentiva nell'aria una grande attesa per il primo spettacolo della Callas in quel teatro. Dissi a mia moglie: "Sai, stasera siamo venuti alla rappresentazione di un'opera, e invece sarà la nostra prima corrida". Il primo atto andò perfettamente, e così il secondo. C'era stata qualche protesta da un lato della galleria dopo l'aria del baritono; la parte sinistra della galleria aveva applaudito. L'altra parte della galleria aveva gridato: "Silenzio, non era poi così buona!" Comunque, l'atto finì in modo tranquillo, la Callas ebbe di nuovo un enorme successo. Nell'ultimo atto, l'aria della lettura della lettera andò magnificamente, ma nella nota più alta in "Addio del passato" la nota le si ruppe leggermente in gola. Tutto il teatro si unì in un fischio fortissimo. Lei continuò a cantare come se non fosse successo niente. L'episodio non ebbe su di lei il minimo effetto.
Per dare un'idea di quanto fosse difficile quel pubblico di Parma, racconterò un piccolo aneddoto. C'era stata una rappresentazione di Andrea Chenier. Al pubblico non piacque il tenore e protestò rumorosamente nel primo atto e cominciò a battere sui sedili. Il direttore del teatro uscì sul palcoscenico e disse che gli dispiaceva che il tenore non avesse incontrato il favore del pubblico, e che comunque aveva già telefonato a Milano, e che entro quattro o cinque giorni sarebbe stato in grado di mettere su un'altra produzione dello Chenier, sperando di avere Di Stefano. Chi voleva poteva avere indietro i soldi del biglietto, altrimenti poteva tenerlo e sarebbe stato valido per lo spettacolo seguente. Il pubblico uscì: alcuni andarono a farsi rendere i soldi ma la maggior parte andò all'ingresso degli artisti come se avesse l'intenzione di linciare il tenore. La polizia allora lo fece uscire da un'altra porta e lo riportò all'albergo dove alloggiavamo. Qualcuno del pubblico era comunque riuscito a trovare l'albergo, ed era ancora lì quando il tenore salì in camera sua. La polizia allora avvertì il direttore dell'albergo che non poteva garantire la protezione del tenore se egli non fosse partito per Milano con il primo treno. Era una notte terribilmente fredda, e c'era la nebbia. Il tenore disse che avrebbe preso il treno delle 6.40. Si alzò molto presto e disse di chiamargli un taxi. Il direttore cercò di trovarne uno ma non ce n'erano. Allora il cantante chiese di trovargli almeno un facchino, perché non ce l'avrebbe fatta a portare due valigie pesanti. Arrivò un facchino dalla stazione, prese le valigie e dopo qualche centinaio di metri si voltò verso il tenore e chiese: "Lei è quello che ha cantato ieri sera?" Il tenore rispose di sì. Il facchino lasciò cadere le valigie per terra e disse: "Se la porti da sé questa roba!"
Un altro esempio dell'imperturbabilità della Callas, di questa sua ammirevole qualità, ci riporta a Milano, alla Scala. Era abitudine dei suoi fans di occupare i posti più vicini al palcoscenico, nella galleria, e quando alla fine della rappresentazione lei tornava per le chiamate, ricoprirla di fiori. Un giorno i fans di una soprano sua rivale, perché in quel periodo aveva una rivale, decisero di disturbare questo rito. Così arrivarono prima degli altri e occuparono quei posti, tenendo in mano mazzetti di ravanelli e di carote. Quindi, quella sera la Callas, invece di avere la solita pioggia di fiori, ebbe una pioggia di verdure varie, e naturalmente anche qualche mazzolino di fiori dai fans che erano riusciti ad arrivare più vicino possibile al palcoscenico. Ora, la Callas aveva una vista piuttosto debole, così si chinò, raccolse una per una queste offerte, le annusò e poi gettò le verdure nella buca dell'orchestra e offrì i fiori ai suoi colleghi. Fu uno dei migliori esempi di sovranità del palcoscenico e prontezza di spirito che abbia mai visto.
E poi la sua intelligenza e il suo senso drammatico si univano alla perfezione...
Aveva un'intelligenza mostruosa, un enorme istinto drammatico e una capacità di proiezione della propria personalità, della propria volontà artistica, quasi sovrumana. Aveva un comunicazione costante non solo con le persone sul palcoscenico, ma anche con il pubblico. Aveva peraltro una curiosa caratteristica, che ho visto soltanto in altri tre artisti teatrali, quella di recitare con la schiena rivolta al pubblico. Gli altri tre erano Laurence Olivier, Feodor Chaliapin (Fëdor Ivanovic Šaljapin) e la mezzo soprano scandinava Kerstin Thorborg, che sfortunatamente, quasi nessuno ricorda più.
...Una cosa curiosa della Callas è che nonostante il suo spiccatissimo senso drammatico, trovo che non desse il meglio di sé nelle opere più corte. Per esempio I Pagliacci, tutti si aspettavano che li facesse molto meglio, e così Andrea Chenier. Avrebbe dovuto essere come bere un bicchier d'acqua per lei, e invece non fu così. Si trovava più a suo agio nel repertorio che va da Rossini a Puccini... È interessante anche notare che benché la Callas fosse molto naturale, non spaziava tutta la gamma delle emozioni. Dominio, collera, rabbia, auto-compassione, tenerezza, amore, ma a dire la verità nessun senso dell'umorismo... Ho visto il suo Barbiere, che ha fatto decine di volte alla Scala, e sinceramente non è che sprizzasse di ironia. Il senso di trasmettere buonumore era qualcosa da cui era molto lontana. Penso che avesse troppa energia, troppa forza di volontà, forse quasi una reticenza a rilassarsi quel tanto che basta per poter divertire il pubblico...
Una cosa però è certa, e cioè che la Callas aveva il miglior legato dei nostri tempi... Lei credeva che il legato doveva essere come un filo telefonico, con le consonanti aggrappate, per così dire a questo filo e, come le zampette dei passeri che si posano sui fili telefonici, in campagna. Ma fondamentalmente si poteva sempre sentire la linea del legato e non ci si rendeva conto delle interruzioni delle consonanti che per il loro scopo drammatico.
Ho cominciato a registrare con lei poi nel 1952, nella Lucia a Firenze. Lavorare con lei era fantastico. È stata una delle tre o quattro persone con cui ho lavorato meglio in assoluto. Veniva sempre preparata alla perfezione. Era estremamente puntuale, al contrario di molte primedonne di entrambi i sessi. Arrivava dieci minuti prima di cominciare e bastava farle un segno con gli occhi perché capisse immediatamente cosa si voleva da lei...
...E davanti al microfono aveva nervi d'acciaio... insomma era la compagna di lavoro perfetta...
Cominciammo in modo abbastanza strano, cercando di registrare le arie di Donna Anna perché io credevo che sarebbe stato bene avere qualche brano di riserva. Ma anche lei ebbe gli stessi problemi che hanno avuto tutti con quelle maledette arie e cioè che negli staccati acuti doveva rallentare un po'. Io allora, mi ricordo che le dissi: "Tu potresti riuscire, con la tua tecnica potresti imparare". Ma non ci siamo più tornati sopra, e quelle che registrammo allora non sono mai state pubblicate. Non so neanche se esistono ancora.
Molti mi chiedono spesso come mai la Callas avesse molti nemici nell'ambiente, visto che era così puntuale e scrupolosa... Io personalmente non l'ho mai trovata una collega scorretta. Nelle registrazioni non stava mai troppo vicino al microfono. Ascoltava tutto ciò che facevano i colleghi. Per quanto riguarda il lavoro, l'ho sempre considerata come una delle migliori persone che abbia mai incontrato. Durante i dodici anni in cui abbiamo lavorato insieme non c'è mai stato un malinteso. Ma c'è una cosa da dire. Un giorno mi disse: "Se un giorno dovessimo avere una disputa sarebbe terribile, perché tu sapresti esattamente come ferirmi, e io saprei come ferire te". Io le dissi: "Maria, di cosa ti preoccupi, non vedo perché dovremmo litigare". E lei rispose: "La gente con la nostra forza, la nostra volontà e la nostra personalità, finisce sempre per litigare...". Questo poi non è successo, o almeno non ci fu un vero e proprio litigio. Ma quando lasciai la EMI, le dissi che me ne sarei andato, e lei scrisse una lettera terribile alla direzione della compagnia, dove diceva che desiderava non aver più niente a che fare con me, che io l'avevo ingannata per il Requiem di Verdi e che voleva che nominassero qualcun'altro per trattare con lei. Poi non l'ho più risentita fino a due settimane fa. Quando seppe che ero stato male mi telefonò e fu estremamente gentile e amichevole, come se non ci fosse stato tra di noi nessun silenzio, e mi invitò a lavorare con lei a New York alla Juilliard School dove insegnava lo stile italiano da Rossini a Verdi. Mi disse: "Dopo tutto, siamo le uniche due persone che ci capiscono davvero qualcosa, e penso che sia nostro dovere farlo".
Di Stefano...
La Callas aveva qualche difficoltà con un tenore con cui aveva cantato molto spesso, e lui era un po' geloso di lei perché alla fine dello spettacolo lei aveva sempre più chiamate di lui. Io pensavo che fossero una coppia straordinaria, come lo erano stati solo Caruso e Nellie Melba al Covent Garden... Ma un giorno la moglie di questo tenore scoprì che alla Callas dava particolarmente fastidio l'odore dell'aglio, come mia moglie, poiché entrambe hanno un'eccessiva secrezione di saliva. Così, la moglie del tenore cominciò a stare dietro le quinte, e ad ogni duetto d'amore, o prima di ogni abbraccio, il tenore si avvicinava alle quinte, stringeva la mano della moglie prendendo quattro o cinque spicchi d'aglio, se li metteva in bocca, li masticava e poi abbracciava la Callas che non sapeva cosa fare con questa saliva in bocca. E questa fu la fine di una delle coppie operistiche più famose.
Serafin...
I suoi rapporti con i direttori comunque erano molto professionali... Il primo con cui ha lavorato è stato Serafin. E penso che per quanto riguarda le qualità che l'hanno fatta diventare quello che è, ha imparato da Serafin più che da chiunque altro. Perché questo direttore era un maestro nel repertorio in cui eccelleva la Callas, cioè le opere drammatiche di Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi. Conosceva quei pezzi come nessun altro, a parte Toscanini, e inoltre sapeva moltissimo sul canto...
Karajan...
La prima volta che ha lavorato con Karajan invece è stato verso la metà della prima registrazione della Lucia. Karajan aveva già un gran successo alla Scala e Ghiringhellilo pregava da anni di fare un'opera italiana, ma Karajan aveva sempre rifiutato. A metà della registrazione della Lucia, in quel duetto tra tenore e soprano "Maledetto...", l'enorme intensità della Callas e di Di Stefano nel cantare quel pezzo era così straordinaria che quando la sessione finì telefonai immediatamente a Milano (noi eravamo a Firenze) e dissi a Karajan: "Devo assolutamente vederti domattina, arrivo col treno della notte e appena puoi cerca la partitura della Lucia. Ti ricordi di quello che ha fatto Toscanini?" Perché entrambi l'avevamo sentito a Berlino quando eravamo ancora studenti. Lui disse che andava bene. La mattina seguente bastò che gli facessi ascoltare solo due minuti e mezzo della cassetta che avevo portato e lui disse: "Va bene. Dopo pranzo ne parleremo con Ghiringhelli, e faremo la Lucia alla Scala con la Callas e Di Stefano". Lui stesso curò meravigliosamente la regia di quella produzione, e fu la stessa che portò a Berlino, e poi a Vienna prima di essere nominato direttore, per mostrare a Vienna ciò che era capace di fare in quel tipo di repertorio.
De Sabata...
La Callas dava sempre il massimo con i grandi direttori. Adorava la disciplina, le piaceva lavorare con persone che potessero tirare fuori il meglio da lei. Le cose più belle che ha fatto, le ha fatte con grandi direttori: De Sabata, per esempio. Penso che tra le sue registrazioni, quella che durerà per sempre sarà la Tosca con De Sabata; resterà uno dei documenti di ciò che può fare un grande direttore con tre solisti molto coscienziosi... Fare la Tosca assieme a De Sabata è stato davvero qualcosa di magico. Era la prima volta che lavoravo con lui, anche se lo conoscevo bene. Cominciò con quel tipo di atteggiamento da tiranno che io credevo scomparso, anche nei direttori. Arrivò alla Scala molto presto. Parlammo di tante cose, tranne che della Tosca, e cinque minuti prima che cominciasse la sessione domandò: "Dov'è il presidente della sua compagnia italiana?" Io gli risposi che non veniva alle sessioni di registrazione. Lui mi disse di chiamarlo e di mandarlo da lui. Il presidente arrivò, era un francese piccoletto, e De Sabata gli parlò in modo tale da farlo rabbrividire. Dopo questo incontro con De Sabata, venne verso di me, mi spinse da una parte, piangendo, e mi disse che nessuno gli aveva più parlato così dal suo primo giorno nell'esercito francese... Poi cominciò la registrazione e passammo tre giorni a sperimentare: avevamo moltissime idee per rendere La Scala più adatta alla registrazione. Era la nostra prima registrazione in quel teatro e non c'era abbastanza risonanza. Così, decidemmo di coprire con il compensato tutti i palchi, cosa che fece quasi diventare pazzo il presidente della EMI. Ma non sapeva ancor cosa sarebbe successo. De Sabata ebbe un'idea che credo si dovrebbe adottare più spesso: volle che ogni musicista della sezione degli archi fosse posto su un piccolo podio, in modo da formare per ognuno di loro una specie di circolo di vibrazioni, rendendo il sound più vitale. Per fare questo gli italiani dovettero lavorare giorno e notte, perché a quei tempi La Scala avrebbe fatto qualsiasi cosa per De Sabata, ed ecco perché Tosca suona ancora così bene, anche oggi, a quasi vent'anni di distanza. D'altronde, due uomini ossessionati dalla sonorità, io e De Sabata, si erano messi in testa che a qualunque costo, per noi e per i nostri collaboratori, avrebbero fatto qualcosa di eccezionale.
...Per quanto riguarda i rapporti tra la Callas e De Sabata, avevano già lavorato insieme nei Vespri Siciliani... quella fu l'unica volta in cui vidi un cantante avere la meglio su De Sabata. Alla prova generale, presenti i critici, De Sabata improvvisamente gridò: "Callas, guardami!" Lei si avvicinò alla ribalta, agitò leggermente l'indice e disse: "No, maestro. Lei guardi a me. La sua vista è migliore della mia".
...Un altro esempio della prontezza di spirito della Callas lo ebbi quando la portai ad un concerto sinfonico. Dirigeva Klemperer. Dopo la prima parte, nell'intervallo, scendemmo a parlare con lui. E Klemperer disse alla Callas: "L'ho sentita due volte. Nella Norma, ottima, eccellente. E in Ifigenia, terribile". La Callas sorrise. Klempererdisse: "Sono sicuro che il mio amico Legge si unirebbe a me nell'invitarla a fare un concerto con noi e l'orchestra a Londra. Cosa le piacerebbe cantare?" E la Callas, con il più dolce dei sorrisi, rispose: "Maestro, vorrei cantare le arie dell'Ifigenia".
Mi domando cosa avrebbe cantato se la sua carriera non si fosse interrotta... Penso che la sua preoccupazione per il bel canto la facesse concentrare troppo sul repertorio che va da Rossini a Verdi, e Puccini. Non che abbia fatto molto anche di Puccini, a parte Tosca. Ha fatto la Butterfly a Chicago; non ricordo che abbia mai fatto la Bohème. Ma un giorno le dissi: "Maria, dovresti fare qualcosa che sia alla tua altezza. Perché non fai qualcosa come Salomè. È una parte che ora che sei magra, e bellissima, potresti fare benissimo, stracciando tutte le altre. Perché, dopo tutto, nessuno ha mai guadagnato tanto quanto te cantando così poca buona musica".
Le sue registrazioni...
Ho registrato con lei la prima volta nella Lucia a Firenze. Nel 1952... Ho fatto tutte le sue opere, ad eccezione della Cavalleria, per una registrazione che non è importante, l'ultima Tosca e la Carmen... Beecham voleva che facesse la Carmen con lui. Mi telefonò e disse: "So che sei in buoni rapporti con questa cantante, credi che potresti persuaderla a fare la Carmen con me?" Io risposi: "Onestamente, non credo che vorrà. Ha sempre giurato che non lo avrebbe mai fatto. Non vuole essere identificata come mezzosoprano". Comunque ci provai ma lei rifiutò, e lui prese un'altra cantante.
...Come ho già detto, la registrazione più bella è stata con De Sabata... Fare una seconda Tosca è stato quasi blasfemo. È stata una pazzia. Ma dopo che lasciai la EMI la compagnia decise che ne voleva un'altra versione. Penso però che nessun'altra potrà competere con la prima. È uno di quei miracoli che succedono una volta sola... Se dovessi fare un viaggio sulla luna e potessi portarmi dietro una delle sue incisioni, porterei la Tosca di De Sabata...


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